Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne

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In vista del 25 novembre il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna diffonde una valutazione dei dati parziali al 31 ottobre

RAVENNA – Il 25 novembre è la giornata internazionale per il contrasto alla violenza contro le donne. Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna ripete che la violenza alle donne è sistemica e quotidiana. Il contrasto alla violenza deve essere altrettanto diffuso e capillare. Per questo sentiamo il 25 novembre non come una semplice ricorrenza, ma piuttosto, come una giornata di lotta e di sorellanza transnazionale, nella quale ritrovarci e riconoscerci. Nel corrente anno, a livello internazionale, abbiamo dovuto assistere al ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, agli attacchi al diritto all’aborto ed in generale, ai diritti delle donne, in Polonia, alla gravissima situazione delle donne afghane, peggiorata con il ritorno dei Talebani. Nel 2021 abbiamo assistito anche alla resistenza e alla lotta delle donne e delle persone lgbtqia+, in Turchia come in Polonia, in Afghanistan, come pure in Italia. Per questo il 27 novembre aderiremo alla manifestazione nazionale organizzata da Non Una Di Meno a Roma, contro la violenza maschile e di genere. Nel 2021 abbiamo assistito anche al dipanarsi degli effetti di genere della pandemia da Covid-19, che ha segnato un calo dell’occupazione femminile ed una maggiore difficoltà ad accedere ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza. I dati relativi all’attività dei Centri del Coordinamento, presentati in calce al comunicato, ci mostrano che, nonostante nel 2021 ci sia stata una ripresa degli accessi ai centri, rispetto al 2020, il numero di donne accolte rimane più basso rispetto a quello del 2019 ed ai livelli pre pandemici.

Ad oggi, in Italia sono 109 le vittime di femminicidio. Sappiamo trattarsi di un dato probabilmente sottostimato. In Emilia-Romagna, nell’ultima settimana, si sono susseguiti cinque femminicidi in meno di quattro giorni. Sabato 20 novembre, a Reggio Emilia, è stata rinvenuta uccisa Juana Cecilia Hazana Loayza. Si tratta di un caso particolarmente grave, poiché mette in evidenza alcune criticità del sistema giudiziario italiano, già evidenziate dal Rapporto Grevio. L’autore del femminicidio, infatti, era già stato condannato, pochi giorni prima, per stalking nei confronti della donna. Il 5 settembre era stato arrestato per atti persecutori e il 6 settembre, dopo la convalida, era stato scarcerato e sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento. Il 10 settembre era stato arrestato per aver violato la misura cautelare, il 23 settembre era stato quindi, giustamente, ridotto agli arresti domiciliari. Il 4 novembre scorso quest’uomo ha patteggiato la pena di due anni di reclusione ed ha attenuto la sospensione condizionale della pena, per effetto della quale, la misura cautelare nei suoi confronti è decaduta, per legge. Sedici giorni dopo, Juana Cecilia Hazana Loayza è morta per mano dello stesso uomo.

Non possiamo che notare i numerosi campanelli d’allarme, che avrebbero dovuto escludere la prognosi positiva della futura condotta del condannato, necessaria, invece, per la concessione della sospensione condizionale della pena, a termini di legge. Ci domandiamo se in questa triste vicenda non abbia giocato un ruolo determinante anche la possibilità di concedere la sospensione della pena, purché subordinata alla mera partecipazione ad un percorso di trattamento per uomini maltrattanti, come permesso dal comma V dell’art 165 c.p., introdotto dal codice rosso (L 69/2019). In generale, i centri hanno riscontrato diverse problematicità nel codice rosso, e in particolare il fatto che l’applicazione di alcune procedure introdotte con questa legge hanno spaventato ulteriormente le donne invece di rassicurarle. Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna riconosce l’importanza del lavoro dei centri dedicati a uomini maltrattanti. Pensiamo che sia fondamentale avviare gli uomini violenti a percorsi di reinserimento ed educativi. Si tratta di un passaggio importante, poiché riconosce nella violenza una questione sociale e non meramente individuale. Ma il riconoscimento della radice del problema in un pregiudizio culturale non può esonerare le forze dell’ordine, la magistratura da una puntuale valutazione del rischio insisti nei singoli casi. Serve responsabilità, anche nel Legislatore, serve conoscenza nell’operatore giudiziario di un fenomeno, la violenza di genere, che non è solo giuridico, ma sociale. È urgente e fondamentale che la società si faccia realmente carico della questione della violenza di genere e che lo faccia a partire dall’esperienza dei Centri Antiviolenza.

Le donne che si sono rivolte ai 15 Centri antiviolenza del Coordinamento regionale dal 1 gennaio al 31 ottobre 2021 sono state complessivamente 3704. Di esse, 3378 donne, pari al 91,2% lo hanno fatto perché vittime di violenza. Le donne “nuove” che si sono rivolte per la prima volta ad un Centro antiviolenza, nello stesso arco temporale del 2021, sono state 2483. Le donne già in percorso, da anni precedenti, sono state in totale 895. Considerando solo le donne nuove che hanno subito violenza, le italiane risultano pari al 64,8%, in totale 1571 donne; le straniere il 35,2%, in totale 853 donne. Le donne con figli/e sono il 70,6% (1613 donne), le donne senza figli/e il 29,4% (671 donne). In totale, i figli/e delle donne accolte sono stati 2756, in larga maggioranza minorenni. Le donne ospitate dal 1 gennaio al 31 ottobre 2021 sono state 232, i figli/e 240 per un totale di 572 donne e bambini/e ospitati. Le notti di ospitalità sono state in totale 48.526, in media 102,8 notti per donna e/o figli/e.

Rispetto allo stesso periodo del 2020, anno caratterizzato dall’impatto dell’emergenza sanitaria nazionale sui percorsi di uscita dalla violenza delle donne, la tendenza è all’aumento delle richieste di aiuto. Sono aumentate, infatti, di alcuni punti percentuali, sia le donne nuove che le donne in percorso da anni precedenti (rispettivamente del 2% e del 5%), accolte dai Centri regionali, che non raggiungono tuttavia i livelli dell’anno precedente la pandemia, il 2019. Diminuiscono, invece, ancora, anche se di poche unità, le donne e figli/e ospitati, che nel 2020 erano stati rispettivamente 239 e 258, mentre aumenta la media delle notti di ospitalità, 98 nel 2020, sono 103 nel 2021.