Dopo i saluti e l’introduzione della presidente del Consiglio comunale, Maria Caterina Manca, sono intervenuti Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i Popoli, e Giuliana Laschi, professoressa di Storia contemporanea e Storia dell’integrazione europea, Università di Bologna. Ha concluso la seduta la vicesindaca Emily Marion Clancy.
A questo link https://youtube.com/live/RuQC0dsgfd8 è possibile riascoltare gli interventi di Romano Prodi (17min 57sec) e Giuliana Laschi (52min 43sec).
Intervento della vicesindaca Emily Marion Clancy – 15 maggio 2023
Grazie, Presidente.
Saluto le autorità presenti, le Consigliere, i Consiglieri, il pubblico e ringrazio i nostri graditissimi ospiti, la professoressa Giuliana Laschi e il presidente Romano Prodi per aver arricchito i lavori del nostro Consiglio comunale, del nostro Consiglio solenne con la loro partecipazione e il loro intervento.
Oggi ci ritroviamo qui per commemorare un evento di straordinaria importanza, il 9 maggio, data scelta per la Giornata dell’Europa, per ricordare il giorno in cui ormai 73 anni fa è stata pronunciata la dichiarazione di Robert Schuman. Questo giorno segnò l’inizio di un processo di pace e di cooperazione, che ha modellato profondamente il nostro continente e il mondo intero. La dichiarazione di Schuman è stata un atto audace, un passo coraggioso verso l’unificazione dell’Europa dopo gli errori della Seconda guerra mondiale, che si ricordavano. In quel momento cruciale della storia Schuman, allora ministro degli affari esteri francese, propose la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Questa proposta, solo apparentemente incentrata su una materia prima, aveva un obiettivo molto più ampio: promuovere la cooperazione fra i Paesi europei e porre fine a secoli di conflitti e divisioni. Questa prospettiva di collaborazione e di unificazione nel corso degli anni ha portato alla creazione di quella che oggi conosciamo e di cui beneficiamo come Unione europea. L’Unione europea ha favorito lo sviluppo economico e sociale, promuovendo la libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali; ha garantito diritti e protezione alle sue cittadine e ai suoi cittadini e ha svolto un ruolo chiave nel mantenere la pace durante periodi di tensione e di conflitto. Come disse John Hume, un politico dall’incrollabile fiducia nel potere del dialogo e del negoziato per raggiungere la pace: “Non dimentichiamoci che l’Unione europea è il migliore esempio nella storia mondiale di risoluzione dei conflitti”. Una rivoluzione vera e propria, come ci diceva la professoressa Laschi. Questo è il portato storico dell’Europa.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che l’Unione europea affronta ancora sfide significative: la crisi economica, le migrazioni, il cambiamento climatico e la polarizzazione (oggi è stata definita la crisi politica) sono solo alcuni degli ostacoli che dobbiamo affrontare. Dobbiamo anche ricordare che la forza dell’Europa però risiede nella sua capacità di unirsi e di trovare soluzioni comuni. Cogliamo allora l’occasione di questa giornata per riflettere sui valori che ci uniscono e per rinnovare l’impegno per un’Europa unita e solidale. Dobbiamo infatti impegnarci a superare le divisioni, a promuovere il dialogo, a trovare quelle soluzioni condivise ai problemi che ci troviamo ad affrontare. Dobbiamo essere orgogliosi certo dei progressi che abbiamo compiuto finora, ma dobbiamo anche guardare avanti con fiducia e determinazione. L’Europa ha o avrebbe il potenziale per affrontare le sfide del presente e per plasmare un futuro migliore per le generazioni future. La domanda è se stia vivendo appieno questo potenziale. Si è detto della centralità che ancora manca per il Parlamento europeo, che ancora oggi guarda quasi con un timore reverenziale il Consiglio, per non parlare della Commissione. C’è ancora molto da fare, mancano ancora le liste transnazionali per un centralismo anche del popolo europeo nelle sue istituzioni. Tuttavia in questi 73 anni l’Europa è diventata una dimensione chiave del governo della nostra città, così come le città stanno assumendo e devono assumere sempre di più un ruolo chiave nella governance europea.
L’Unione europea è ormai stabilmente nella cronaca quotidiana dei suoi Stati membri, lo si ricordava, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, per giungere ai tempi attuali dove non ha fatto in tempo a imporsi la crisi legata alla pandemia, per vedere… a chiudersi scusate la crisi creata dalla pandemia per vedere imporsi nell’ultimo anno la guerra in Ucraina. Le cittadine e i cittadini europei, che fino a pochi anni fa avevano una “benevola indifferenza” per la costruzione europea, che però allo stesso tempo veniva percepita come distante e burocratica, cominciano a esigere sempre di più dall’Europa e questo sta aprendo strade nuove impensabili fino a soli pochi anni fa, come la costruzione di una politica sanitaria europea, l’attivazione di un debito europeo per coprire le esigenze di rilancio dell’economia colpita dalla recessione legata al Covid, la messa in opera di una strategia energetica e ambientale non più solo normativa ma anche solidale, con l’avvio di acquisti congiuntiviti, che permetta di affrontare la sfida della ricorrenza del sistema produttivo. A questi spazi nuovi di intervento si aggiungono ovviamente quelli tradizionali come il mercato interno, di
cui si festeggia quest’anno il trentennale, le politiche agricole, le politiche dei trasporti e delle reti transeuropee tutte, politiche che richiedono anche amministrazioni nazionali, regionali e locali che siano all’altezza della sfida. Sono ormai quarantaquattro le agenzie europee che nel corso dell’ultimo ventennio sono state create per favorire l’integrazione fra
il livello sovranazionale e quello nazionale e si può sperare che con lo sviluppo della digitalizzazione si arrivi progressivamente all’erogazione di servizi pubblici di più alto livello in ogni punto dell’Unione, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda dello sviluppo sostenibile prevista a livello delle Nazioni Unite.
Oltre a tutto questo però noi abbiamo fortemente bisogno di un’Europa dei popoli. Troppo spesso, infatti, il dibattito si concentra sull’Europa delle merci e delle nazioni, trascurando invece il ruolo centrale delle cittadine e dei cittadini europei e le sfide sociali e umane che affrontano quotidianamente. L’Europa dei popoli significa innanzitutto ascoltare e rispondere alle esigenze delle persone. Troppo spesso le politiche europee sono ancora percepite invece come distanti e poco sensibili alle realtà locali. Allora tocca a noi invertire questa tendenza e coinvolgere attivamente le cittadine e i cittadini europei nella definizione delle politiche comunitarie. L’Europa dei popoli richiede un dialogo aperto e trasparente con la società civile, le organizzazioni non governative e gli attori locali. Solo ascoltando attentamente le loro preoccupazioni, le loro aspettative e le loro competenze potremo creare un’Europa più inclusiva e più giusta. Inoltre l’Europa dei popoli deve affrontare le disuguaglianze sociali e promuovere la coesione tra i suoi membri. L’Unione europea è fondata sui valori di solidarietà e uguaglianza – lo ricordavano sia il professor Prodi che la professoressa Laschi –, eppure assistiamo ancora a differenze significative, grandi disparità tra gli Stati membri e anche all’interno degli Stati membri. Allora è nostro dovere porre fine a queste ingiustizie e garantire che ogni cittadino e ogni cittadina abbia accesso a opportunità e servizi di base, come l’istruzione, la sanità, un’abitazione, un’occupazione dignitosa. Solo attraverso politiche sociali e fiscali equilibrate e una distribuzione più equa della ricchezza potremo davvero costruire quell’Europa dei popoli realmente solidale che vorremmo tutte e tutti. Infine l’Europa dei popoli richiede una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale e alla lotta contro il cambiamento climatico. Le cittadine e i cittadini europei sono sempre più consapevoli dell’urgenza di adattare e adottare misure concrete per preservare e tutelare il nostro pianeta per le generazioni future, che spesso sono più consapevoli di alcuni dei loro decisori politici. E su questo l’Unione europea sta assumendo sempre di più un ruolo di leadership per una transizione verso un’economia verde e sostenibile, promuovendo le energie rinnovabili, intervenendo per la riduzione delle emissioni, adottando politiche di gestione sostenibile delle risorse naturali. Solo attraverso un’impronta ecologica ridotta e uno sviluppo sostenibile possiamo garantire un futuro migliore per i suoi cittadini e le sue cittadine. Vogliamo un’Europa che sia delle città. L’Europa deve attraversare le nostre politiche e lo fa sempre di più, e lo fa in alcune di quelle più importanti, come la missione delle cento città climaticamente neutre entro il 2030, a cui partecipiamo. Le città infatti rappresentano solo il 3 per cento della terra emersa, eppure sono responsabili di oltre il 70 per cento delle emissioni. Entro il 2050 si stima che l’85 per cento della popolazione europea vivrà nelle città e quindi capiamo molto bene come la dimensione delle città sia cruciale in Europa.
Dobbiamo quindi spingere verso una giustizia sociale, verso una transizione che sia sempre più eco-digitale, in cui si ridistribuisce la ricchezza e si tutelano i beni comuni materiali ma anche immateriali. Penso al mondo della tecnologia e del digitale. E in questo l’Europa sta facendo tanto e sta chiedendo tanto ai vari Paesi, nello specifico alle città. Le città in questa Unione hanno e devono avere sempre di più un ruolo fondamentale e di questo ne abbiamo contezza da tempo, anche grazie al lavoro e all’impegno di Renzo Imbeni, prima come Sindaco e poi come europarlamentare, la cui lucidità permise di sottolineare la necessità ed individuare come fondamentale il rapporto fra le città e le città come città d’Europa, pienamente inserite in un contesto continentale di collaborazione, di legame, di sorellanza fra le municipalità. Cari a lui erano tanti temi che oggi sono ancora cruciali, quali il perseguimento della parità attraverso la valorizzazione delle differenze, il dialogo di pace tra le persone e le comunità, l’ambientalismo. In tutto e per tutto possiamo dire che i governi e la governance europea hanno bisogno delle città, hanno bisogno di un vero e proprio protagonismo ascendente delle città per continuare a fortificare e a costruire quell’Europa. In questo momento di difficoltà e di crisi, di fragilità -la possiamo chiamare così- delle istituzioni le città e l’ente comunale e metropolitano riescono ad avvicinare il cittadino e la cittadina e a ridurre quella distanza. Il nostro Comune, questa amministrazione è inserita quotidianamente in un rapporto costante con l’Unione europea, perché tutte le problematiche che noi affrontiamo ogni giorno partono da una dimensione cittadina, si parte dalle città per risolvere sfide che hanno respiro europeo. Le città sono in prima linea per risolvere le questioni del nostro tempo da un punto di vista sociale, ambientale, economico e dei diritti.
L’Europa è nelle politiche quotidiane dell’ente, negli indirizzi, nel reperimento delle risorse, nelle politiche di parità di genere per i diritti Lgbtqi+, l’inclusione, per il contrasto alle disuguaglianze sociali ed economiche, per la tutela e la creazione di buona occupazione e nelle politiche ambientali. L’Assessora Boni sta lavorando costantemente e un esempio sarà l’atto di indirizzo che porterà domani in Giunta su questi temi, per rendere Bologna una città ancora più connessa e ancora più europea. Un lavoro che porterà Bologna a promuovere la costruzione di reti con altre città italiane ed europee, per sviluppare strategie politiche innovative per l’economia di prossimità e collaborativa, tutelando e sostenendo le imprese che producono valore nel nostro territorio, posizionandosi quale capitale nazionale e internazionale della cultura, del welfare culturale e delle industrie culturali e creative. Un vero e proprio piano strategico per l’azione europea ed internazionale di Bologna. Ne hanno parlato infinitamente meglio di come potrei fare io sia la professoressa Laschi che il professore Prodi, ma spesso si parla del futuro dell’Europa, di modificarne i trattati. Ecco, il futuro dell’Europa dipende in realtà moltissimo anche dall’attuazione piena dei suoi trattati e dall’attuazione degli insegnamenti e dell’eredità del suo passato. Lo vediamo chiaramente in questo momento storico in cui stiamo rischiando di perdere il tratto distintivo più importante del nostro vivere comune in Europa, in quella Europa dei popoli che sogniamo: la coesione e la solidarietà. In diversi Paesi della nostra Unione si fa avanti una strisciante tendenza alla rinazionalizzazione, in particolare sui diritti.
Ci sono segnali inquietanti che vanno respinti e vanno sciolti invece in un attivismo progressista delle città, che relazionandosi con altre città, in Europa e non solo, vivono invece la dimensione transnazionale di cui abbiamo bisogno. Poi ci sono i conflitti.
Sebbene sia un imperativo morale ricordarci dei tanti conflitti in corso nel mondo, la guerra è arrivata alle porte dell’Europa e questo ci tocca nel profondo. Non perché ci siano guerre più importanti di altre, ma perché fu proprio la conquista della libertà e della pace il preludio per la nascita della nostra stessa Repubblica, della nostra Costituzione antifascista l’antefatto necessario perché nascesse qualche anno dopo la Comunità europea prima e l’Europa poi. Allora non possiamo e non vogliamo dimenticare che il 2022 è stato l’anno in cui la guerra è tornata a scoppiare alle porte dell’Europa, il mondo intero è stato scosso dalla notizia dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe e questa guerra fa risuonare attuali come non mai le parole della dichiarazione di Schuman del maggio 1950, che oggi ricordiamo. Penso naturalmente al vibrante esordio: “La pace mondiale non potrà che essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Credo che le tante piazze che nella nostra città, e non solo, hanno chiesto e continuano a chiedere una “Europe for peace”, pretendono un diverso e maggiore protagonismo dell’Europa, che potrebbe giocare un ruolo indipendente nell’arena internazionale circa il conflitto. In fondo l’Unione europea è nata come un progetto di pace, di coabitazione, di collaborazione fra popoli diversi e questo tutti noi vogliamo e dobbiamo continuare a chiedere a gran voce. Come disse David Sassoli, un punto di riferimento per l’Europa che vogliamo e a cui questa città ha voluto dedicare solo poche settimane fa la scuola dell’infanzia nuova a Navile: “L’Europa ha bisogno di un nuovo progetto di speranza, un nuovo progetto che innovi, protegga e illumini”. Noi abbiamo bisogno di un’Europa che illumini un percorso di pace, un progetto di lotta alle disuguaglianze e per una vita degna che parta dalle città, che vogliono avere un ruolo attivo nella costruzione di una nuova frontiera di diritti e benessere per il nostro continente unito. So che Bologna continuerà a fare la sua parte in questo senso.”
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