Il ferromagnetismo è un fenomeno ben noto, secondo cui dipoli magnetici si allineano in risposta a un campo magnetico esterno e mantengono tale allineamento (polarizzazione magnetica) anche a campo rimosso.
Il ferromagnetismo è alla base di molte applicazioni di carattere tecnologico: per esempio le memorie dei calcolatori.
La ferroelettricità è un fenomeno analogo: invece dei dipoli magnetici sono i dipoli elettrici a creare una polarizzazione elettrica permanente, allineandosi in risposta a un campo elettrico.
Il primo materiale ferroelettrico è stato scoperto un secolo fa circa, ma una ricerca focalizzata sui ferroelettrici si è sviluppata solo a cavallo della seconda guerra mondiale.
Oggi la ricerca di avanguardia punta all’ottenimento di materiali ferroelettrici organici (cioè costituiti in massima parte da carbonio, idrogeno e ossigeno) nell’ambito dello sviluppo di materiali per l’elettronica che siano leggeri, flessibili e bio/eco-compatibili.
Alcuni anni fa un gruppo di ricercatori giapponesi dell’Università di Tokyo aveva effettivamente scoperto che un composto organico, il tetratiafulvalene-cloranile, già studiato in maniera approfondita dai ricercatori del gruppo MMAA, esibiva ferroelettricità, seppure solo in prossimità della temperatura dell’azoto liquido (-200 gradi centigradi circa).
Tale ferroelettricità è risultata essere di un tipo particolare, cosiddetta elettronica perché dovuta alle “nubi” elettroniche delle molecole, ed è caratterizzata dalla velocità con cui si instaura la polarizzazione a opera del campo esterno, nonché dal suo valore. Allora la “gara” si è spostata verso l’ottenimento di ferroelettricità elettronica in composti organici a temperatura ambiente.
Questa gara sembrava essere stata vinta dal forte gruppo di ricerca della Northwestern University americana, guidato dal Prof. Stupp e dal futuro premio Nobel Stoddart: nel 2012, infatti, essi pubblicarono, su “Nature”, i risultati relativi alla ferroelettricità elettronica di tre composti organici da loro sintetizzati a tale scopo.
L’articolo ha comprensibilmente ricevuto grande attenzione dalla comunità scientifica, risultando in breve tempo tra gli “highly cited papers” nella classifica del “Citation Index” della baca dati WEB of Science.
Gabriele D’Avino, Dottorato nel gruppo MMAA (ora all’Istituto Laue-Langevin di Grenoble), si è accorto però che qualcosa non tornava, sulla base di sofisticati calcoli da lui effettuati sui composti di Stoddart e Stupp.
Su suo suggerimento, il gruppo MMAA, e in particolare Matteo Masino, Anna Painelli e Alberto Girlando, ha verificato che i dati sperimentali a supporto della ferroelettricità erano di cattiva qualità, anche se venivano da un gruppo molto prestigioso in campo chimico.
Di comune accordo si è deciso di replicare gli esperimenti, coinvolgendo in un ampio team internazionale l’Università di Mons (Belgio), l’Istituto di Scienza dei Materiali di Barcellona (Spagna), l’Università di Augsburg (Germania), l’Università di Girona (Spagna) e la Scuola Internazionale per Studi Avanzati (SISSA) di Trieste.
“Abbiamo scelto uno dei tre composti proposti dal gruppo della Northwestern – afferma Matteo Masino – e in circa un anno di lavoro abbiamo dimostrato che la caratterizzazione strutturale e spettroscopica riportata su “Nature” non era corretta e che le misure dirette della ferroelettricità erano negative”.
“Nello stesso tempo – afferma Anna Painelli – l’analisi dei dati sperimentali dimostra senza ombra di dubbio che questi sono incompatibili con una ferroelettricità di tipo elettronico”.
A questo punto si è convenuto di mandare una lettera di commento a “Nature”, la rivista che aveva pubblicato l’articolo originale.
“Come membro più anziano del team internazionale mi sono assunto l’incarico di preavvisare Stupp e Stoddart circa i nostri risultati, così come richiesto da Nature – dice Alberto Girlando -. E mentre stavamo ancora discutendo con loro, è arrivato il premio Nobel per Stoddart. Tuttavia abbiamo deciso di procedere comunque e dopo circa altri sette mesi il nostro commento è stato finalmente pubblicato, assieme alla replica degli autori che hanno riconosciuto la solidità delle nostre misure e del nostro trattamento teorico ma hanno nello stesso tempo riaffermato di aver osservato la ferroelettricità, pur senza poterne spiegare l’origine.
Quindi il nostro gruppo non ha fatto scoperte, ma ha messo in dubbio quella di Stupp e Stoddart. È stato tuttavia importante essere riusciti a rendere pubblica la discussione, perché la scienza progredisce attraverso un confronto continuo e tutti i risultati, anche se provengono da gruppi affermati, devono essere verificati e validati da ricercatori indipendenti.”
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