La mostra di Mimì Quilici Buzzacchi (Medole 1903 – Roma 1990), inaugurata alla Idearte Gallery lo scorso sabato e presentata dal critico Lucio Scardino, propone per la prima volta la visione diretta delle dieci grandi xilografie composte tra il 1932 e il 1938, contenute nella cartella Italia Antica e Nuova, edita da Mardersteig, a Milano, nel 1939. on lettera di presentazione di Ugo Ojetti.
La mostra, intitolata “Italia Antica e Nuova”, tende a sottolineare le due anime dell’artista, che nel campo della grafica seppe unire a una tecnica originale una particolare capacità di sintesi espressiva. Un linguaggio, quello che si riscontrerà nell’esposizione, non estraneo alle ricerche di una irrequieta modernità, ma anche interessato al senso classico degli spazi dove si è depositata il passato di Ferrara.
«Ciò è evidente – sostiene Scardino – nella cartella Italia Antica e Nuova che le presentò il celebre critico Ugo Ojetti, dove i volumi dei monumenti e dei paesaggi assumono un’aura mitica, solenne e dai ritmi taglienti, intrisa di una sorta di aulico senso del ‘metafisico’, non soltanto inteso nel senso dechirichiano».
Va infine considerato che Mimì Quilici Buzzacchi ha attraversato tutto il Novecento consapevolmente da autodidatta, ma praticando sin dai suoi esordi e poi dirigendo la pagina dedicata all’arte del “Corriere Padano”, un continuo confronto con i più noti protagonisti della cultura del suo tempo.
«L’artista si è distinta in un periodo complesso, negli anni contesi tanto dalla dittatura quanto dalla tensione alla libertà – conclude la Quarzi – Basti pensare alla mostra imponente che Italo Balbo volle nel ’33, per trasformare Ferrara in una capitale culturale. Era diventata un punto d’incontro, che riuniva fior di intellettuali, specialmente intono al “Corriere Padano”. Leggenda ferrarese è datata 1943, nel momento in cui la famiglia Quilici abbandona la città. L’opera sarà conclusa in seguito, quando Mimì si sentirà pronta ad aggiungere tre elementi fondamentali per contestualizzare l’ultimo secolo: traduce la fine del Fascismo nella morte del drago; disegna tre figure incappucciate, delle quali una prega accanto al muretto del Castello per onorare il gravoso eccidio; inserisce alcune sagome in lontananza che scendono dai cavalli e la campana in movimento sulla torre, tutti simboli della liberazione».
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