BOLOGNA – Il 27 gennaio 1944, al Poligono di via Agucchi, veniva fucilato Ezio Cesarini, giornalista de “il Resto del Carlino”. L’esecuzione avveniva perché “concorrente morale” (poiché in carcere come antifascista) nell’uccisione di Eugenio Facchini, federale repubblichino di Bologna.
In occasione del settancinquesimo anniversario della morte l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna ha deciso di ripercorrere storicamente la vita di Cesarini per farlo conoscere anche come testimone della storia sociale e politica, non solo di Bologna ma dell’Italia intera. Questo grazie al lavoro di ricerca che ha portato alla luce documenti come il fascicolo sul giornalista eroe conservato, ma mai analizzato, negli archivi storici dell’Ordine in Strada Maggiore 6, i documenti dell’Istituto Parri di Bologna e le interviste ai parenti, che per la prima volta hanno raccontato i loro ricordi e hanno fatto vedere documenti, foto, ritagli di giornali finora mai mostrati.
Di Cesarini si è parlato in una conferenza stampa cui hanno partecipato l’assessore alla Cultura Matteo Lepore, il Presidente del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna Giovanni Rossi, il Presidente del Consiglio di disciplina territoriale dell’Ordine regionale dei giornalisti Claudio Santini, Matteo Antonio Naccari del Comitato di redazione de il Resto del Carlino.
Cesarini era nato a Montebello Vicentino il 27 agosto 1897 e si era trasferito a Bologna a 13 anni. Qui trascorrerà gran parte della vita che sarà stroncata dal plotone d’esecuzione a soli 47 anni. Ha abitato per anni in via del Porto 17, una casa distrutta nei bombardamenti del 1943-44. Padre di Metello Cesarini junior (rispetto al nonno), uno dei pilastri giornalistici del rinato “Carlino”, scomparso il 30 novembre 2004.
Ezio Cesarini ha vissuto in prima persona gran parte degli avvenimenti storici di Bologna: prima socialista poi fascista, e ha incontrato personaggi come Francesco Zanardi, mitico sindaco socialista e Leandro Arpinati, ras del Regime, costruttore dello stadio Littoriale (ora Renato Dall’ Ara) che lo ha fatto assumere al più diffuso quotidiano cittadino, prima come segretario di redazione e poi come cronista di nera.
È stato testimone del tempo di Bologna antimilitarista con gli esponenti del PSI e poi “guerriera” accanto ai repubblichini alleati della Germania e ha visto il bagno di sangue della città prima con la strage di Palazzo d’Accursio (1921) e poi con i bombardamenti (dal 25 luglio 1943) infine con la “macelleria” esercitata dai nazi-fascisti negli anni della repressione partigiana. Fu arrestato con una ignobile trappola: era stato licenziato per antifascismo, ma, secondo una interpretazione contrattuale di allora, non aveva perso il diritto all’indennità di fine rapporto perché la tessera del PNF (indispensabile per esercitare il giornalismo) gli era stata solo “sospesa” e non definitivamente ritirata. Tentò allora di recuperare i soldi che riteneva dovuti e si presentò al giornale per chiederli: l’addetto all’amministrazione fece finta di assecondarlo e gli fissò un appuntamento, ma quando si presentò invece della busta con le lire trovò i militi che gli misero i ferri ai polsi. Fu rinchiuso nel carcere di San Giovanni in Monte i primi di gennaio e prelevato la mattina del 27 gennaio 1944, dopo che un tribunale speciale di guerra lo aveva condannato, da innocente, per l’azione partigiana che aveva visto l’attentato mortale al federale. Durante il trasferimento al Poligono tentò la fuga ma fu fermato dal lancio di una bomba a mano che lo stordì e lo fece cadere a terra. Ebbe i conforti religiosi e chiese, come ultima volontà, un sigaro per “sentirsi tranquillo”. Mentre partiva la raffica gridò: “Viva l’Italia libera!”.
Ezio Cesarini è stato riconosciuto partigiano nella brigata “Matteotti Città”, dal 9 settembre 1943 al 27 gennaio 1944 ed è stato sepolto nel Sacrario dei martiri della Resistenza alla Certosa di Bologna. A guerra finita è stato insignito della medaglia d’argento al valor militare e traslato nell’ossario dei partigiani sempre alla Certosa. Il suo nome e la sua foto compaiono sul Sacrario dei Caduti partigiani in piazza del Nettuno seppur con un lieve errore, il cognome è Casarini.
Il Comune di Bologna ha intitolato a suo nome una strada nel Quartiere Navile e l’Ordine dell’Emilia-Romagna gli ha dedicato la sala delle conferenze nella sede di Strada Maggiore 6.
L’ Asem (Associazione Stampa Emilia Marche) ha fatto allestire in suo onore una lapide che è stata inizialmente posta nella sede del Carlino, poi è “sparita” e infine ritrovata nel lavoro di ricerca per le attuali celebrazioni. La lapide è stata donata dalla Poligrafici Editoriale SpA al Comitato di Redazione del quotidiano e ora si trova nelle sede dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, verrà presto ricollocata in un luogo pubblico perché sia visibile a più persone possibili.
Cenni dal fascicolo personale di Cesarini custodito all’Ordine dei giornalisti
La prima grave colpa
È il 7 gennaio del 1938. Ezio Cesarini, passeggiando per via Rizzoli scorge un amico, Amilcare Bortolotti, e lo avvicina per chiedergli informazioni su un comune conoscente. Bortolotti è insieme a un’altra persona: Francesco Zanardi, ex sindaco socialista. È una circostanza casuale, una accidentalità, ma sospetta e intollerabile per il federale Alfredo Leati che proprio in quel momento sta transitando nella zona prossima alle Due Torri. Il gerarca si “scandalizza” e subito telefona al direttore del “Carlino”, Armando Mazza, chiedendo l’immediato licenziamento di Ezio Cesarini, che il 18 viene prelevato da casa, trasferito in auto alla Casa del Fascio e qui “punito” con il ritiro della tessera con la seguente motivazione: “alle dipendenze di un giornale della Rivoluzione si accompagnava con un elemento notoriamente nemico del Regime”. Perde così il lavoro e vivrà di stenti.
Datemi le ruote per la bici
La guerra è tempo di ristrettezze anche per i cronisti di nera che fanno il “giro” in bicicletta e sono in crisi con camere d’aria e copertoni. In questo clima, Ezio Cesarini avanza personale richiesta al Sindacato il 17 febbraio 1943 di avere ” per esigenze di lavoro” una camera d’aria e un copertone per le ruote del suo velocipede. L’ istanza sarà accolta con approvazione del 20 marzo 1943.
Le ultime lettere
Ristretto nella cella di San Giovanni in Monte, Cesarini apprende che è stato condannato a morte (assieme ad altri sette ostaggi) e che non avrà possibilità di sospensione di pena perché è stata respinta l’istanza fatta dai difensori. Chiede allora carta e penna e scrive alcune lettere: alla moglie “Mia adorata Enna…”, al fratello Mario al quale detta le sue estreme volontà, alle sorelle Bice, Vera, Elsa. Aggiunge per Mario una nota che rende particolare testimonianza del suo carattere: “Caro Mario – prima di morire – ho fatto acquistare un fiasco di vino che ha pagato il latore del presente (cioè di colui che ti porterà questo mio estremo scritto ndr). Non voglio lasciare debiti e ti prego di rimborsare la spesa. Baci. Ezio”.