Il proprietario, per rientrare in possesso del proprio oggetto o documento, deve presentarsi personalmente, con un documento d’identità valido, all’Ufficio che si trova in piazza Liber Paradisus 10 – Torre B – piano zero, e che è aperto il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 8.30 alle 12.30; il martedì dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 16.30 e il giovedì con orario continuato dalle 8.30 alle 16.30. Il proprietario deve fornire una descrizione dettagliata del bene e deve portare con sé l’eventuale denuncia.
Di tutti gli oggetti smarriti viene pubblicato mensilmente un elenco a cura dell’Ufficio oggetti rinvenuti del Comune di Bologna che si occupa di tenerli in custodia per 12 mesi.
Nel caso il proprietario non si presenti per il ritiro entro 12 mesi, l’oggetto viene restituito alla persona che l’ha trovato e consegnato. Il ritrovatore ha due mesi di tempo per ritirare l’oggetto. Tutti i beni non ritirati rimangono a disposizione del Comune e potranno essere messi in vendita all’asta. Nel caso in cui l’oggetto non avesse un reale valore economico o non riuscisse ad essere venduto all’asta, questo viene donato ad associazioni che presentano dei progetti di valore sociale, didattico in tema ambientale, di riuso e di riciclo o di aggregazione.
E proprio grazie ad uno di questi progetti e alla fantasia di una studentessa del Liceo Fermi, che un poggiatesta smarrito si anima, osserva la vita e il mondo da due prospettive diverse: quella di chi possiede molto e quella di chi vive in strada. Grazie al suo compagno di viaggio, che vive sotto i portici di Bologna, osserva la città da un punto di vista privilegiato, e impara ad apprezzare i valori più importanti. Il racconto, che prova a spiegare come tutto, anche gli oggetti, abbiano un’anima, fa parte del volume “L’og-getto che non getto. Storie di oggetti smarriti” dell’associazioni Visu-Ali a cui l’Amministrazione comunale consegna periodicamente alcuni degli oggetti non restituiti al legittimo proprietario o non rivenduti all’asta. Grazie a questa opportunità, i ragazzi delle scuole superiori bolognesi, hanno dato una seconda vita a questi oggetti, che possono così rivivere in brevi racconti.
Il racconto integrale di Sofia Salmasi (classe 3L Liceo E. Fermi Bologna)
“Il poggiatesta vagabondo.
Dovete sapere che per noi poggiatesta non è tutto semplice. Veniamo giudicati in base a pulizia, comodità, forma, morbidezza, per il nostro contenuto preferibilmente anallergico e perfino per il nostro colore. Io, in base ai canoni universalmente accettati, sono brutto, sporco e relativamente scomodo. Ma credo sia proprio questo il motivo per cui ora ho una storia da raccontare.
Appena sono stato costruito ho intrapreso una serie di viaggi che mi hanno portato al negozio “un sonno migliore” dove sono stato riposto insieme ai miei simili, su uno scaffale apposito. Questi mi hanno spiegato la nostra natura, la nostra funzione e in generale come girasse il mondo. Sono stato colpito dalla fermezza della loro voce; erano fieri del loro compito, si sentivano soddisfatti. Raggiungevano la più grande felicità quando venivano scelti. Passavano otto ore al giorno a sperare che qualcuno li ritenesse degni del loro collo. Non aspiravano ad altro. Erano così appagati all’idea di affievolire dolori muscolari, che alla fine risultavano contagiosi. Me ne ero convinto anch’io e così attendevo con loro, giorno dopo giorno, di essere scelto.
Ci sono andato vicino una volta. Erano passate tre settimane dal mio arrivo e una bambina, trecce lunghe e lentiggini, mi ha portato via dal mio posto sullo scaffale. Pensavo di poter finalmente lasciare indietro polvere e ragnatele per essere davvero utile a qualcuno. Ma poi, la stessa bambina che mi aveva scelto e stretto tra le sue braccia, quella che avrebbe dovuto volermi bene come un compagno di viaggio, in meno di un minuto dal nostro incontro, mi ha imbrattato la federa di gelato al cioccolato, indelebile e permanente. In men che non si dica mi sono ritrovato nel cassonetto dietro al negozio, e poi dritto alla discarica, sporco e con i sogni infranti.
Sarò rimasto in compagnia dei topi per almeno due mesi, senza più uno scopo, poi un giorno un uomo mi raccolse.
Fred era sporco. Strano da dire da parte mia, ma era la sua caratteristica principale, almeno apparentemente. Inoltre viveva per strada, non so perché. A quanto ho capito non aveva né casa né famiglia. Era solo. Anch’io lo ero. Se ne stava tutto il giorno con la sua chitarra a cantare sotto i portici di Bologna. Era gradevole. La gente lo apprezzava e gli dava dei soldi. Fred però parlava raramente e io non avevo occasione di capire la sua vita. Tutto ciò che mi trasmetteva era tristezza, amarezza direi. La notte piangeva, le sue lacrime, quando non finivano sulla mia federa scolorita, si poggiavano sulla fotografia di una ragazzina, ho avuto modo di capire che era sua figlia, prima che morisse. Era stato un bruttissimo incidente dal quale il padre non si era mai sollevato, e questo lo aveva portato a perdere tutto.
Era gentile. Ogni volta che raggiungeva più soldi di quanti gli servivano per un panino da McDonald, li passava ad un suo simile della strada vicino, ripetendogli sempre che ne aveva più bisogno lui. Non ne capivo il motivo.
L’ho scoperto solo 20 anni dopo; successivamente alla notte in cui il cuore di Fred ha cessato di battere. Io lo sapevo, avevo sentito il suo corpo spegnersi. Tutto quello che aveva provato, la sua storia, la sua tristezza, la sua fatica, persino il suo odore, non sembravano più importanti. Ma quello che aveva fatto sì. La mattina dopo ho capito il suo duro lavoro. Ho visto perché, per chi, continuava a combattere. Quel signore a cui donava i soldi in più era in compagnia di una bambina bionda, sua figlia. Era lei il motivo di tutto.
Fred se n’era andato e io ero rimasto solo sotto i maestosi portici di Bologna, in balia del vento. Poi, per la terza volta nella mia esistenza, è cambiato tutto in un attimo. E così mi hanno raccolto, pulito più che potevano, senza privarmi però della macchia che mi ha reso chi sono, e messo in una valigia piena di oggetti dimenticati da tempo.
Ora sono qui. Davanti ad una classe di ragazzi. Ho finito di raccontare tutto quello che ho passato, anche se nessuno di loro mi ha sentito, ovviamente. Per pura coincidenza questi ragazzi hanno il compito di inventarsi una storia con me come protagonista. Ne sono onorato. Anche se non sapranno mai quella reale, il solo fatto che provino ad immaginarsela mi rende in qualche modo speciale”.
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