In un’interessante intervista pubblicata da MicroMega ad inizio gennaio, la storica attivista iraniana Maryam Namazie ha riferito di non aspettarsi molto dagli Stati occidentali a sostegno dei movimenti di liberazione delle donne iraniane, perché soggetti al dogma del “business as usual”.
Lo stesso dogma che, secondo l’attivista, ha permesso all’Iran di fare parte della Commissione del Consiglio economico e sociale dell’ONU sulla condizione delle donne (Commission on the Status of Women), che si occupa della parità dei sessi e dell’emancipazione femminile. Lo stesso dogma che ha mosso ben sedici stati ad astenersi dalla votazione con la quale, solo di recente, è stata deliberata l’opportuna espulsione dell’Iran da questo organo internazionale.
Condividiamo l’analisi di Maryam Namazie: il presidio della libertà delle donne, in Iran e nel mondo, è affidato all’iniziativa delle stesse, nei movimenti sociali e politici, slegati da logiche di “business”. Per questo vorremmo che l’attenzione mediatica sui diritti delle donne non fosse solo ritualizzata nella gestualità delle celebrazioni dell’otto marzo, ma divenisse un impegno sempre presente, in particolare verso la richiesta di libertà che scuote Teheran.
Occorre non cadere in errore, con una lettura occidentale e antislamica, che non permetterebbe di cogliere la natura del problema. Il punto non è la specifica religione di riferimento, ma la natura totalitaria del regime e l’utilizzo strumentale della religione stessa per negare diritti alle donne.
Anche l’Occidente non è immune da una forte spinta reazionaria e misogina che, sotto l’egida del relativismo culturale, mette in forse diritti acquisiti quali l’aborto ed il diritto all’autodeterminazione.
Quest’ultimo inconciliabile con un modello preconfezionato dall’alto di “famiglia tradizionale” che, di fatto, neppure esiste.
I dati dell’attività dei nostri quindici Centri antiviolenza nell’anno 2022, che di seguito riportiamo, confermano l’attualità della lotta delle donne, per l’affermazione dei propri diritti.
Le donne che nel 2022 si sono rivolte ai 15 Centri che compongono il Coordinamento dei Centri antiviolenza della regione Emilia-Romagna, sono state complessivamente 4223, di cui 3891, pari al 92,1%, hanno chiamato un Centro perché vittime violenza. Registriamo una leggera diminuzione rispetto al 2021, con un calo di 3 punti percentuali (127 donne in meno). Ciò nonostante, continua il trend di recupero dei livelli di richiesta di aiuto della prima parte del 2020, un anno caratterizzato da un calo drastico delle richieste, dovuto all’emergenza sanitaria nazionale da COVID19. Nel 2020, le donne accolte erano state infatti complessivamente 4076, di cui 3785 avevano chiesto aiuto perché vittime di violenza.
Nel corso del 2022 le donne che hanno preso contatto per la prima volta con i 15 Centri antiviolenza del Coordinamento regionale perché vittime di violenza sono state 2922, pari al 75,1% di tutte le donne accolte vittime di violenza; le donne in percorso da anni precedenti 969, pari al 24,9%, percentuali molto simili a quelle dell’anno precedente.
Le donne nuove vittime di violenza provenienti da altri paesi sono state 1036, pari al 37,7% delle donne nuove accolte vittime di violenza. Una presenza aumentata di 3 punti percentuali rispetto a quella rilevata nell’anno precedente. Le donne con cittadinanza italiana accolte sono state 1709, pari al 62,3% del totale.
Fra le donne nuove vittime di violenza, le donne con figli/e sono state 1859, pari al 71,1%; le donne senza figli/e il 28,9%, in totale 757. Tra le donne con figli/e, 1002 hanno avuto figli/e che hanno subito violenze dirette o assistite, ovvero varie forme di violenza assistita.
I figli/e delle donne accolte sono stati 3496, fra di essi il 49,8% (1742) ha subito violenze dirette o assistite.
Percentuali queste che si discostano di poco rispetto all’anno precedente fatto salvo per il numero di figli e figlie vittime di violenza, che diminuiscono di 5 punti.
Nel 2022 le donne nuove accolte che hanno subito violenze fisiche sono state 1870, pari al 64%; coloro che hanno subito violenze economiche sono state 1187, il 40,6%; 633 donne, pari al 21,7%, hanno subito violenze sessuali; 2560 donne (’87,6%) hanno subito violenze psicologiche. Rispetto al 2021 le donne hanno dichiarato più spesso di essere state vittima di violenze sessuali (+ 3 punti) e di violenze economiche (+ 4 punti). Un aumento che si era già verificato nell’anno precedente.
Le donne ospitate nelle case rifugio e nelle altre strutture (emergenza, alloggi di transizione) gestite dai Centri del Coordinamento regionale nel 2022 sono state 419, di cui 216 (il 51,6%) con figli/e. I figli/e ospitati sono stati 390, per un totale di 809 donne e minori. Le notti di ospitalità sono state complessivamente 66.547, in media 82,3 notti per madri e figli/e. Si tratta di numeri significativamente più elevati di quelli rilevati in anni precedenti, fatto salvo per la media di notti di ospitalità che diminuisce considerevolmente.
Nel 2021 infatti le donne ospitate erano state 259, i figli/e ospitati 276, per un totale di 535 donne e figli/e e di 58.627 notti di ospitalità. Sempre nel 2021, la permanenza media nelle strutture era stata di 109,6 notti per madre e figli/e.
Sia la riduzione nella media delle notti di permanenza in struttura sia l’aumento delle donne e figli/e ospitate è dovuta alle modifiche recentemente introdotte nella scheda di rilevazione dati. Le nuove schede, infatti, permettono di rilevare in modo sistematico anche le ospitalità fornite dai Centri in strutture di emergenza convenzionate, o comunque con spese a carico del Centro, come hotel e bed&breakfast. Si tratta di un’attività importante, che i Centri hanno progressivamente implementato, per dare risposte immediate alle situazioni di emergenza e/o di crisi vissute dalle donne, anche in assenza di strutture dedicate. Uno strumento questo che presenta molteplici opportunità. Da una parte permette ai Centri di offrire risposte tempestive alle donne che si rivolgono loro, soprattutto di fronte a situazioni di emergenza. D’altra parte, presenta un’importante opportunità sia per le donne sia per le operatrici, poiché crea un momento di transizione tra l’uscita di casa e l’ingresso in casa rifugio, offrendo alle donne una possibilità di riflessione e di confronto con le operatrici al di fuori del contesto di emergenza prima di una scelta così importante come quella di entrare in una casa rifugio.
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