RIMINI – Nell’ ambito delle iniziative previste per il “capodanno più lungo del mondo” dal 5 gennaio il Museo della Città ospita due nuove esposizioni, frutto di una feconda sinergia fra pubblico e privato.
Dalla Collezione Renzo Sancisi, Calici Liturgici dal XV al XX secolo
Aprire le porte del museo alle collezioni private, incentivando depositi, donazioni e prestiti con l’obiettivo di una virtuosa relazione tra pubblico e privato nel campo storico-artistico, può offrire a un’ampia comunità di persone il frutto della ricerca paziente e appassionata dell’arco di una vita del singolo conoscitore e studioso privato. Questa la convinzione dell’Assessorato alle Arti del Comune di Rimini, messa in atto da qualche tempo.
Nelle vetrine della saletta al primo piano si potranno ammirare sessantasette calici ecclesiastici, parte principale dell’intera collezione formata in nove lustri dal concittadino Renzo Sancisi.
Nel medesimo luogo verrà esposto anche il famoso Crocifisso d’oro, opera manierista che la tradizione popolare attribuiva al Cellini. Occultato per salvarlo dai tanti bombardamenti su Rimini dell’ultima guerra, fu recuperato intatto nell’estate del 1945. Giunse al Museo nel 1990.
Edoardo Pazzini (Verucchio 1897- Rimini 1967)
Le festività natalizie recano in dono al Museo della Città anche la piccola collezione di 5 dipinti del pittore Edoardo Pazzini esposta dal 5 gennaio nello spazio del corridoio a piano terra. Il nucleo di opere, quattro paesaggi e una natura morta, è entrato a far parte del patrimonio e delle collezioni del Museo della Città nell’ ottobre scorso, grazie alla munifica disponibilità di Maria Teresa Giovannini. Priva di eredi diretti, la signora Giovannini ha generosamente disposto nel testamento che, alla morte -avvenuta a Rimini il 22 aprile 2017- i propri beni venissero devoluti in beneficenza ad eccezione dei dipinti di Pazzini, donati al Museo della Città.
Si distinse nell’ambiente artistico riminese assieme a Luigi Pasquini di cui era amico e sodale, tra gli anni ’20 e i ’40, partecipando a mostre e dibattiti, a partire dalla prima monografica nel 1928 seguita nel 1963 da una seconda alla Sala delle Colonne, ricevendo nel frattempo diversi riconoscimenti pubblici e premi.
Si allineò su posizioni conservatrici, lontano da linguaggi modernisti, distante sempre sia dalle avanguardie primonovecentesche come dalle espressioni del Ritorno all’ordine o del Realismo e l’Astrattismo tra le due guerre. La sua pittura è delicata e di tocco e pur sfiorando in alcuni momenti certa sinteticità di forme e volumi vagamente depisisiani, rimane ancorata ad un delicato equilibrio post impressionista.
Seppe sempre cogliere gli aspetti della vita quotidiana, le atmosfere, il lavoro contadino e le sfumate percezioni della Valmarecchia nelle diverse stagionalità, in quadri a pastello e a olio di piccolo formato, alimentando da sempre l’interesse dei collezionisti. Pazzini crebbe agli ammaestramenti dello zio Norberto col quale soggiornò a Roma tra 1913 e il 1917 frequentando l’Istituto di Belle Arti, assorbendone il clima e sedimentando un profondo e meditato rapporto con la natura che già Norberto aveva maturato nel circolo del pittore Nino Costa negli anni ’90. Edoardo coltivò la pratica della pittura e fu nel contempo a lungo insegnante di disegno nel Liceo Scientifico A. Serpieri di Rimini.
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