PARMA – Discorso Sindaco Cerimonia S. Ilario 2025:
Saluto le Autorità civili, militari e religiose presenti, voglio dare il benvenuto, in modo particolare, ai neoeletti Consiglieri regionali del nostro territorio, all’Assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna Massimo Fabi, al nuovo Presidente della Provincia Alessandro Fadda, che è al suo primo Sant’Ilario e al nuovo Consiglio provinciale di Parma.
Avvicinandomi a questa 39^ edizione del Premio Sant’Ilario, l’ottava per me come amministratore di questo Comune e la terza come Sindaco, non potevo non pensare alla perfetta coincidenza con la metà di questo mandato amministrativo. Due anni e mezzo di lavoro, di grande impegno della mia squadra, delle strutture comunali, del Consiglio comunale per rispondere ogni giorno alle esigenze della città, per fissare e discutere gli obiettivi più strategici e di lungo periodo di cui Parma ha bisogno, per portare la nostra città a contare di più sullo scacchiere nazionale e internazionale, perché sia ascoltata con sempre maggior interesse e attenzione a Bologna, a Roma o a Bruxelles. Ho pensato ai diversi dossier delicati (a quelli già risolti, a quelli che chiuderemo in questa seconda parte di mandato), alle moltissime politiche messe in campo nei settori più critici e bisognosi (che abbiamo scelto di presidiare da subito, in via prioritaria), alle tante assunzioni (che magari si vedono meno di altri tipi di interventi, ma hanno una importanza capitale), ai risultati conseguiti in Europa (la certificazione della missione Parma 2030, la Capitale Europea dei Giovani), alle molte fatiche e alle tante soddisfazioni del quotidiano. Ho pensato a quanta gente ho incontrato in questi due anni in Italia e all’estero, a quante persone ogni giorno mi fermano in città, qualcuno per dare coraggio, qualcuno per ringraziare, qualcuno per recriminare e arrabbiarsi, molti per chiedere aiuto. Ora che siamo a metà del guado lo posso dire con ancora più certezza: fare il sindaco è la più verticale delle esperienze, ti porta dall’alto al basso nel giro di poche ore, a toccare ogni strato della società, a gioire delle tante cose belle che abbiamo, a soffrire di quelle che bisogna migliorare. Perché ogni cosa che in una città non va il sindaco la sente un po’ sul suo corpo – anche o forse più di tutte quelle che non dipendono direttamente da lui – e le cose che hanno bisogno di ancora più cura, di ancora più risorse, di ancora più impegno sono quelle con cui ogni mattino ti alzi e ogni sera ti corichi. Perché ciò che va bene, ciò che funziona occupa la mente molto meno di ciò che va migliorato.
Ma mentre pensavo tutto questo, mentre numeri ed elenchi si profilavano davanti a me, le candidature che andavamo ricevendo dalla città per il Premio Sant’Ilario mi convincevano che la riflessione da condividere con voi stamattina doveva guardare nella stessa direzione cui guardano i nomi proposti e le firme che li sostengono, lungo un percorso di comprensione della città che abbraccia e porta con sé l’attività amministrativa. A scorrerle, le liste di candidatura, ti rendi conto che è possibile registrare dei mutamenti nelle proposte che marcano elementi di novità nel modo in cui intendiamo presentare Parma.
Voglio provare a condividere con voi qualcuno di questi elementi.
Il primo. Le persone fisiche sono meno delle associazioni. È il segno che la città identifica sempre più nel mondo associativo esempi forti di cittadinanza, che poggiano sul valore della collettività, del fare insieme, del mettersi a disposizione e in dialogo con le istituzioni e di rafforzare il tessuto sociale di un territorio. Il segnale non è un segnale di poco conto e questa tendenza porta con sé anche un significato politico, nel senso primo e più alto del termine, un segnale che chi amministra un ente territoriale sente in modo molto forte, soprattutto alla luce dei tagli indiscriminati che da troppo tempo i Comuni continuano a soffrire nei loro bilanci.
Il secondo elemento di cambiamento ci dice che gli ambiti del sociale sono definitivamente maggioritari. Superano di gran lunga quelli della cultura e dell’arte, o quelli dello sport, che sono stati sempre molto sostenuti e superano perfino gli ambiti dell’impresa, un tempo fortissimi. Se il sociale è in maniera così trasversale l’ambito più candidato, vuole dire che la città riconosce che il bisogno più forte sta lì, che la gratitudine maggiore deve concentrarsi lì. In questa preponderanza di quelle che possiamo definire le “realtà della cura” c’è una indicazione politica netta: l’attenzione ai più fragili è la stella polare di chi si impegna a riflettere su ciò che serve alla città. E questo deve ricordare a chi amministra che prima di tutto “cosa pubblica” vuol dire avere nel cuore e nella testa gli ultimi, quelli che non riuscirebbero senza l’aiuto del pubblico, cioè di tutti noi insieme. Quanto dolore abbiamo provato per l’assurda morte del nostro concittadino Miloud Mouloud, morto di freddo in questo inizio gennaio in una baracca. Non siamo stati in grado di intercettare la sua sofferenza, ma soprattutto non siamo stati in grado di curare la sua paura, di dargli il coraggio e la fiducia di affidarsi a chi lo avrebbe potuto aiutare. La paura è purtroppo gemella della povertà. Teniamolo sempre più presente, soprattutto quando tocca un ambito come quello della casa, su cui questa Amministrazione sta facendo investimenti senza precedenti e sta coinvolgendo tanti soggetti pubblici e privati in un contesto difficile, fatto di alloggi vuoti e di affitti alle stelle.
Infine, tra questi elementi di mutamento che il Sant’Ilario registra, cominciano a farsi largo nuovi temi, come quelli di genere, quelli legati all’ambiente e alla sostenibilità in generale, i temi giovanili, quelli dei diritti umani e il grande tema della pace. Questioni che si affacciano con più insistenza man mano che ci si accorge che non rappresentano affatto dibattiti astratti o lontani dalla quotidianità di una città, ma ne rivelano il livello di civiltà, di modernità e di uguaglianza.
Riflettendo su questi elementi di novità, mi sono chiesto se sia possibile da qui, da questo palco, provare a comprendere il “sentimento” della città che il Premio ci porta e da lì capire come questo sentimento riverbera su ciò che occupa in maniera maggioritaria la nostra quotidianità e le nostre discussioni.
In questa sala, stamattina, il nostro sentimento per Parma non è uno solo. Probabilmente se li scomponessimo questi sentimenti, se cercassimo di arrivare ad una base comune, forse riusciremmo a tirare fuori un sentimento che tutti proviamo per la nostra città e potremmo poi cercare di capire se è utile a stare dentro i processi che la città sta attraversando e se tiene il passo della Parma del 2025.
Io provo a ridurre a quattro. Il primo è un sentimento di solidarietà e di cura. Questa è la città che ognuno di noi penso riconosca come la più importante, per essere presenti al presente e anche per farci trovare in qualche modo pronti all’urto che questo nostro tempo produce. Poi c’è un sentimento culturale, che è molto nella storia e nelle corde di Parma. È il sentimento di chi ogni giorno si impegna perché si realizzi una crescita dei saperi, delle intelligenze, del desiderio di conoscere – in ambito scientifico così come in ambito umanistico – e meno di chi pensa che la cultura sia da valutare non su questo passo lungo, che il Sant’Ilario premia, ma su quello più breve e bulimico dell’eventistica e dei suoi numeri. Esiste poi un sentimento pedagogico, che è quello di chi costruisce percorsi di educazione e di formazione che passano attraverso lo stare insieme e, a partire da una comune passione, da un comune impegno, diventano strumenti di insegnamento per la città che sente che si può apprendere vivendo insieme. Infine c’è un sentimento economico che la città ritiene assolutamente centrale e che sa ha contribuito e contribuisce grandemente al benessere di un territorio che – è bene ricordarcelo – resta uno dei più avanzati del nostro Paese. Questo sentimento economico, però, è un sentimento che non fa del profitto la sua ragione, ma considera l’etimologia dell’economico, cioè la regola che consente di bene amministrare ciò che è domestico, che quindi presuppone un legame fortissimo con il valore di giustizia e di benessere che so creare nel territorio che abito. Per fare questo, è chiaro a tutti, il sistema di gioco è cambiato, si è globalizzato e si è complessificato, ma il sentimento non è mutato e Parma questa economia di responsabilità la riconosce. Potremmo identificarne altri di sentimenti di città e ognuno di noi può proseguire questo esercizio o questo gioco, ma questi quattro, dal mio osservatorio, appaiono come i più avvertiti e i più trasversali e dobbiamo riuscire a promuoverli ogni giorno, fino a farli arrivare a chi vive a Parma da poco, a chi non si sente ancora pienamente parte della nostra comunità e alle generazioni più giovani.
Attorno a questi sentimenti – solidale e di cura, culturale, pedagogico ed economico – gravita la politica, con i suoi dibattiti, le sue posizioni, le sue diversità, le sue priorità. In un cerchio ulteriore si dispongono i diversi interessi che rendono la città viva e difficile e in un cerchio apparentemente più esterno si muovono i grandi temi dell’oggi: i diritti violati, le povertà dilaganti, gli obiettivi dell’Agenda 2030 nei quali continuiamo a credere e le guerre che dilaniano il mondo e arrivano fino a qui. Come per Miloud, quanto dolore e quanta angoscia quest’estate hanno attraversato la città nel piangere il piccolo Seifeddin, il bimbo palestinese di sei mesi fuggito ferito dalle bombe di Gaza con la mamma e il fratellino di 3 anni e morto qui, a Parma, per un arresto cardiaco mentre cercava, appena sbarcato all’aeroporto di Bologna, di raggiungere l’Ospedale Niguarda di Milano.
Questa è l’ampiezza che oggi qui celebriamo e da questa ampiezza procedono i temi di cui oggi Parma parla di più e quelli su cui deve dimostrare di essere reattiva e non seduta.
Quel che penso è che per affrontare i problemi in un territorio come il nostro sia bene collocarli con buona decisione dentro i sentimenti di cui ho parlato prima, dentro quelli che sono veri e propri esercizi della sensibilità che non ci tradiranno, che guarderanno ad obiettivi realmente sfidanti e si sporcheranno le mani per risolvere le emergenze (e voglio considerare tra di esse le tante allerte climatiche e idrogeologiche che quest’anno abbiamo affrontato) e pianificare il futuro.
Vogliamo tutti, di questo ne sono certo, una città più sicura. Fatemi a proposito ringraziare i rappresentanti della forze dell’ordine che sono presenti qui con noi, cui aggiungo i nostri agenti di Polizia Locale, perché ogni giorno lavorano per questa nostra sicurezza e se quest’anno ha portato con sé una flessione dei reati a Parma è grazie a questo loro operato. Con gli organici a disposizione – e non mi addentro troppo in questo tema che so stare molto a cuore alle forze dell’ordine a livello nazionale e lo sta anche a me, visto che nel piccolo del Comune abbiamo fatto la scelta economica e politica di portare in Polizia Locale oltre 40 nuovi agenti –, la città è ogni giorno controllata, vengono effettuati fermi, arresti, sanzioni e risolte situazioni complicate che non hanno a che fare solo con la microcriminalità. In base a ciò che di volta in volta attraversa le tensioni collegate alla sicurezza – che molto cambiano nel tempo e anche nel giro di pochi mesi – si modificano i servizi, si rimodulano le azioni e gli interventi. Il modo migliore di aumentare la sicurezza è quello di proseguire su questa linea di lavoro collaborativa e puntuale, di intensificarla (porteremo, per quanto ci riguarda, il servizio della Polizia Locale sull’arco delle 24 ore), ma ancora di più di inserire questo metodo in un quadro che presupponga il pieno coinvolgimento della Parma solidale, della Parma culturale, della Parma pedagogica e della Parma economica, nei significati che ho tratteggiato prima. Sono percorsi più sfidanti, certo, ma visto che tutti noi in questa sala sappiamo bene che non può essere per via soltanto repressiva o di presidio che si risolve il problema nelle città, soprattutto di queste dimensioni, dobbiamo attivare in quella direzione tutto ciò che è già attivo e vivo in città. È la richiesta che viene dalle scuole, è la richiesta che viene dai giovani, i più lucidi in questo senso, soprattutto nel momento in cui questi temi invadono il loro perimetro generazionale e vedono tanti loro coetanei purtroppo coinvolti.
Ma lo stesso vale per altri ambiti, perché ognuno di quei sentimenti rivela, nel suo profondo, ciò che una città moderna deve reclamare per essere all’avanguardia nei campi della ricerca, dell’impresa, dell’attrattività dei talenti, per essere veramente la città internazionale, multilingue e multiculturale che siamo stati anche in secoli più lontani. Qui il movimento può essere l’opposto. Qui non si tratta di portare un problema e di circondarlo con la forza e l’intelligenza di tutti, qui si tratta di indicare una via. Qui sono le istituzioni – scolastiche, sanitarie, universitarie, d’impresa, di promozione e sviluppo – qui è la politica a dover tracciare la strada, a portare la città a sintonizzarsi, con tutte le sue energie verso quella che qualcuno chiama visione e io preferisco chiamare strategia, che ha un significato diverso. Quando parliamo di opere strategiche per il nostro territorio (che possono essere una fermata dell’Alta Velocità alle Fiere di Parma, l’implementazione degli studentati, magari ridisegnando la geografia di un quartiere, un nuovo vettore di Trasporto Pubblico Locale, ma anche la rifunzionalizzazione di un’area della città, o la creazione di una nuova Fondazione di partecipazione per contrastare l’emergenza abitativa), parliamo sempre di una città che si apre verso l’esterno, che sente il bisogno di pensarsi anche fuori da sé, di una città che non ha paura, che si misura coi suoi diversi corpi politici, istituzionali e sociali e assume scelte di sviluppo forti, che fanno crescere i nostri sentimenti di Parma e li portano all’altezza di un mondo che corre, di un mondo che oggi segna le differenze a partire dalle connessioni, fisiche, intellettuali, digitali, umane.
Questo doppio movimento, che verso l’interno è chiamata a raccolta di forze e assunzione di responsabilità collettiva e che verso l’esterno è strategia condivisa per andare su obiettivi chiari e davvero necessari, è il ritmo di una città che trasforma il suo modo di vivere e di pensare. E che può trasformare anche il suo modo di raccontarsi.
Quella trasformazione che è stata una delle parole chiave del progetto di European Youth Capital 2027, che siamo andati a prenderci prima a Bruxelles e poi a Ghent. Ho sentito giovani vere e veri, come li chiamo io, descrivere le ferite con gli occhi luminosi e il sorriso di chi sa che bisogna affrontarle e non solo parlarne. Ho visto negli occhi di chi ci ascoltava brillare una luce che era Parma e quando ho sentito pronunciare il nome, quel breve nome della nostra città, come vincitore ho provato un’emozione unica, infinitamente più forte di quella pure intensa che provai quando sentii che Parma era Capitale Italiana della Cultura. Un’emozione che era fatta di tanti sentimenti, forse anche più di quattro, e che aveva la forza di uno strattone salutare, dato da chi oggi ci chiede il coraggio del pensiero giovane. Un pensiero, lo avete sentito, che ci parla di sicurezza, ma ci parla soprattutto di ricerca, di mobilità, di casa, di lavoro, di inclusione, di giustizia, di Europa. Obiettivi cruciali per una città che si vuole più coraggiosa e più equa. Obiettivi che stanno nei sentimenti che collegano quelle ragazze e quei ragazzi ai nostri premiati.
Io so che Parma questo pensiero giovane ce l’ha. È qui in Auditorium anche stamattina, è anche molto e soprattutto fuori di qui. Non dimentichiamolo questo pensiero giovane e portiamolo con noi quando usciamo.
Buon Sant’Ilario e buon 2025 a tutti voi.