“A due anni non parlava, pensavo fosse autistico”. Questa la disperata, allucinante motivazione data dalla madre che, a Torre del Greco, ha annegato ieri il proprio figlio di due anni. Sono parole, gesti, motivazioni che non mi lasciano dormire e che mi interrogano nel profondo. Cosa può portare, mi chiedo, una donna, una madre, ad uccidere il proprio figlio? e farlo per la paura che “fosse autistico”? sono domande per cui non esistono risposte, ma che mi hanno portato ad una riflessione che trovo opportuno condividere. Forse, tra le cause, può esserci la paura di un genitore di sentirsi solo ad affrontare la condizione di vita del proprio figlio, senza supporti e senza condivisione. Il pensiero è andato subito ad altri genitori che, invece, la forza di socializzare, di condividere, di aiutarsi, l’hanno trovata.
A Rimini sono infatti diverse le associazioni di genitori che hanno trovato la forza di aprirsi e condividere insieme parte della loro esperienza quotidiana.
Tra queste, ad esempio, “Rimini Autismo”, che abbiamo incontrato a dicembre in occasione della consegna da parte dell’Amministrazione comunale del “Sigismondo d’oro”. Ero con il Sindaco, quando uno di questi magnifici genitori che compongono l’universo di Rimini Autismo ci ha raccontato la sua storia, quanto mai simbolica alla luce del caso di Torre del Greco. Suo figlio è riuscito a uscire dall’isolamento di casa propria, grazie alla rete sociale e di volontariato cittadina, accumulando quelle relazioni che adesso al mattino lo portano a essere riconosciuto e accolto da tanti ‘buongiorno’ nel tragitto quotidiano per strada. Quei saluti vogliono dire tanto: vogliono dire “tu sei parte di questa comunità, sei parte della nostra forza, sei parte di noi”. E’ una straordinaria gratificazione per il ragazzo e allo stesso tempo per il genitore. Vuole dire che tu, madre, hai una rete cittadina che fa sentire te e tuo figlio parte integrante di una comunità.
Tra i Genitori di queste associazioni c’è, probabilmente, anche qualcuno che ha vissuto lo stesso dubbio e travaglio interiore di questa madre ma che, a differenza sua, ha avuto una opportunità, perché c’è una differenza enorme tra sentirsi soli o viversi invece come parte integrante di una comunità che non lascia indietro nessuno, ma che avanza insieme a te. Ecco allora che il vicino di casa, così come l’edicolante o il commerciante, possono diventare in prima persona elementi di inclusione che, al pari delle associazioni o delle istituzioni, contribuiscono a creare una città inclusiva.
L’immagine che ho negli occhi diventa allora quella della conclusione della cerimonia del Sigismondo d’Oro, quando la presidente di “Rimini autismo”, Alessandra Urbinati, ha chiamato sul palco del teatro Galli i “loro ragazzi”, tutti insieme a gioire di una festa collettiva.
Anche se non è una risposta a quei terribili interrogativi che non fanno dormire, trovo che sia proprio questa forza comunitaria del nostro associazionismo, il punto fermo su cui continuare ad investire e da cui ripartire con fiducia, speranza e coraggio.
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