Nei primi sette mesi dell’anno sono state 204 le donne che si sono rivolte a Rompi il silenzio, 26 quelle accolte nella casa rifugio, insieme a 33 minori. Numeri in linea con quelli dello scorso anno, quando sono state oltre 340 le donne che hanno avuto la forza di rivolgersi al centro, dopo aver subito violenza fisica o soprusi di tipo economico e psicologico, che rappresenta la forma di violenza più comune.In 5 anni, Rompi il silenzio ha ospitato 315 donne e minori offerto 24.800 notti di ospitalità, 1538 incontri di ascolto e prima accoglienza. Il lavoro quotidiano dei centri antiviolenza non conosce pause, eppure sembra non bastare.
Oggi più che mai – alla luce della cadenza giornaliera con cui drammatici episodi di violenza sulle donne ci vengono raccontati dalle cronache nazionali, rischiando di farci cadere nell’assuefazione – dobbiamo risvegliare la responsabilità collettiva, a fronte di una crescente oggettificazione e sessualizzazione della donna, che ancora nel 2023 continua ad essere percepita da una parte della società come subordinata all’uomo.
Quello che sta succedendo mi ha profondamente turbata, come donna e come madre di una ragazza della stessa età di uno dei recenti casi più drammatici. I casi di stupro e di violenza che hanno scosso il nostro paese e la nostra città, le violenze sui corpi delle donne, spesso giovanissime e perpetrati da giovani, ci deve interrogare come società, risvegliare la nostra coscienza perché siamo tutti responsabili. ‘Il corpo delle donne è usato come un campo di battaglia’, diceva il premio Nobel Mukwege, è costantemente additato, guardato, molestato, violato. Un bacio sulle labbra alla giocatrice spagnola, un gesto difficilmente ripetibile al contrario, ossia di fronte a un giocatore uomo, fanno parte di quella mentalità maschile a cui siamo talmente abituati e asserviti, da rendere spesso persino le donne a sentirsi in imbarazzo nel dire “no”, “non lo accetto”. E invece bene che si dica no. La società sta cambiando, ma c’è ancora chi non lo accetta e usa violenza nel modo più brutale e animalesco per riportare le donne a meri oggetti, subordinate e soggiogate al volere e al piacere maschile.
Ci scandalizziamo quando accadono questi episodi tragici, ma poi cosa facciamo davvero? Non credo che sia solo una questione di punizioni più severe bensì del cambiamento radicale di una mentalità che genera tutto questo. Chi compie queste atrocità sa bene a cosa può andare incontro, ma la volontà di fare male è più forte della paura della legge perché c’è intorno una sottocultura che in qualche modo giustifica tutto questo. Si nasce e cresce con battute sessiste, commenti volgari, apprezzamenti non richiesti, e si passa poi allo schiaffo, alla violenza, agli stupri e ai femminicidi. Non c’è molto da aggiungere se non una vera presa di coscienza, prima di tutto da parte degli uomini, che inizino loro a indignarsi, a dire no alle battute, a dissociarsi quando un collega lo fa, a denunciare quando vedono qualcuno comportarsi in modo inappropriato. Ciò che più preoccupa e che anche nelle nuove generazioni si percepisce forte questa sottocultura della prevaricazione, una svalutazione del corpo come oggetto sessuale, aspetti che costituiscono il terreno su cui proliferano le violenze, gli stupri, i femminicidi. Non esiste una ricetta semplice ad un tema di tale complessità e così profondamente radicato, ma l’unica strada da percorrere è sviluppare una consapevolezza collettiva, partendo proprio dai più giovani, per educare ad una vera cultura del rispetto, oltre i generi.
Contatti del Centro antiviolenza gestito dall’associazione Rompi il silenzio
L’accesso al servizio è diretto e può avvenire:
• contattando il centralino
al numero 346 5016665,
anche via chat
• contattando il numero verde
nazionale 1522
• inviando una e-mail all’indirizzo
info@rompiilsilenzio.org
• presentandosi direttamente presso
le sedi del Centro Antiviolenza.
Il Centro è diventato inoltre una struttura territoriale referente al 1522 (Numero Nazionale Antiviolenza e Stalking promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri).
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