Categorie: CinemaEventiRegione

“DANTE” di Pupi Avati dal 29 settembre al cinema

EMILIA ROMAGNA – DUEA FILM e RAI CINEMA

presentano DANTE

un film di PUPI AVATI

CAST ARTISTICO
SERGIO CASTELLITTO Giovanni Boccaccio
ALESSANDRO SPERDUTI Dante giovane
ENRICO LO VERSO Donato degli Albanzani
ALESSANDRO HABER Abate di Vallombrosa
GIANNI CAVINA Piero Giardina
LEOPOLDO MASTELLONI Bonifacio VIII
LUDOVICA PEDETTA Gemma Donati
MORENA GENTILE Donna gozzuta
ROMANO REGGIANI Guido Cavalcanti
CARLOTTA GAMBA Beatrice
PAOLO GRAZIOSI Alighiero di Bellincione
MARIANO RIGILLO Meneghino Mezzani
ELIANA MIGLIO Badessa Santo Stefano degli Ulivi
VALERIA D’OBICI Suor Beatrice
GIULIO PIZZIRANI Dante anziano
ERICA BLANC Gemma Donati anziana
MILENA VUKOTIC Rigattiera
NICO TOFFOLI Ser Manetto Donati

CAST TECNICO

Regia PUPI AVATI
Soggetto e sceneggiatura PUPI AVATI
Direttore della fotografia CESARE BASTELLI
Scenografia LAURA PERINI, MATTIA FEDERICI
Montaggio IVAN ZUCCON
Costumi ANDREA SORRENTINO
Musiche LUCIO GREGORETTI e ROCCO DE ROSA

Prodotto da ANTONIO AVATI per DUEA FILM con RAI CINEMA
e con MGProduction
Distribuzione 01 DISTRIBUTION
Nazionalità ITALIANA
Anno 2021
Durata 94’

SINOSSI

Settembre 1350. Giovanni Boccaccio viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice, figlia di Dante Alighieri, monaca a Ravenna nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi.
Dante è morto in esilio nel 1321 mentre la sua fama, grazie alla divulgazione della Commedia, si è diffusa ovunque. Gli ultimi suoi vent’anni sono stati terribili, in continua fuga, cercando ospitalità presso le varie corti, con una condanna al rogo e alla decapitazione inflitta sia a lui che ai suoi figli maschi fuggiti a loro volta da Firenze.
Intanto nel capoluogo toscano gli equilibri di potere sono profondamente mutati e la città cerca una riappacificazione, seppure postuma, con un concittadino di tale valore. I dieci fiorini sarebbero il risarcimento simbolico per la confisca dei beni e per la condanna ad essere arso vivo e decapitato decretata ormai quasi mezzo secolo prima dal comune fiorentino. Contro quella parte del mondo ecclesiale che considera la Commedia opera diabolica, Giovanni Boccaccio accetta quest’incarico nella convinzione di poter svolgere un’indagine su Dante che gli permetta di narrarne la vicenda umana e le ingiustizie patite.
Nel suo lungo viaggio Boccaccio oltre alla figlia incontrerà chi, negli ultimi anni dell’esilio ravennate, diede riparo e offrì accoglienza e chi, al contrario, respinse e mise in fuga l’esule.
Ripercorrendo da Firenze a Ravenna una parte di quello che fu il tragitto di Dante, sostando negli stessi conventi, negli stessi borghi, negli stessi castelli, nello spalancarsi delle stesse biblioteche, nelle domande che pone e nelle risposte che ottiene, Boccaccio ricostruisce la vicenda umana di Dante, fino a poterci narrare la sua intera storia.
Il film racconta la vicenda umana di Dante Alighieri, fra i grandi certamente il più grande e il più noto nel mondo.

NOTE DI REGIA

A farmi intravedere la possibilità di raccontare quell’essere umano ineffabile che è stato l’Alighieri è stata la scoperta della missione di Giovanni Boccaccio nel 1350: quella di portare a Ravenna, alla figlia di Dante, una borsa di dieci fiorini per risarcirla del tanto male che i fiorentini avevano fatto a suo padre. La gran parte della mia narrazione la debbo quindi allo stesso Boccaccio che di Dante fu biografo e appassionato divulgatore.
Il resto è invece frutto di congetture e suggestioni che mi provengono da un ventennio di disparate letture, in una continua consultazione degli esimi dantisti citati in esergo.
Nella realtà Dante era entrato nella mia vita dapprima attraverso la lettura di cronisti a lui coevi (Villani, Vellluti, Compagni etc) e dei tanti saggi e le tante biografie accademiche e non. Furono quelle letture a convincermi di come fosse lasciata sul fondo, sfocatissima, la sua umanità, seppure così esplicita…
Più o meno in quegli anni lessi “La Vita Nova”, quel prosimetro d’amore che Dante ventenne si trovò a scrivere all’indomani della morte di Beatrice Portinari. Sufficiente a far sì che mi riconoscessi nella gran parte delle emozioni di quel giovane remoto, facessi mio il tentativo di tenere in vita, attraverso la sublimità della poesia, quell’essere celestiale che fu per lui Beatrice Portinari.
Poesia il cui appalesarsi avviene in Dante attraverso la sublimazione del dolore: la perdita della madre nella sua infanzia, la morte di Beatrice nella sua giovinezza, la condanna all’esilio del migliore dei suoi amici, nell’età adulta, l’ingiusta dannazione, estesa ai suoi figli, nella maturità.
È la conferma di quanto il dolore promuova l’essere umano a una più alta conoscenza.

Pupi Avati

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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