Piacenza

Daniele Novara lancia la sfida per il futuro della scuola

PIACENZA – “Siamo qui per esigere una scuola che restituisca ad alunni, insegnanti e genitori il loro valore. Che sappia avere come obiettivo l’apprendimento e non la performance competitiva”.

A conclusione del Convegno “La scuola non è una gara”, che ha visto più di 1000 insegnanti, pedagogisti, educatori ed esperti incontrarsi a Piacenza, Daniele Novara lancia una sfida per il futuro della scuola in Italia.

“A scuola dobbiamo stare bene anche nella fatica dell’imparare. Stare bene è l’unica condizione per farcela”.
9 punti che delineano un percorso chiaro e netto. Chiediamo:

1. Una scuola senza voti
2. Una valutazione basata sul riscontro dei progressi e non degli sbagli
3. Una cultura dell’errore come strumento formativo di autoregolazione e apprendimento
4. Al Ministro: di non inseguire metodi antiquati come i giudizi sintetici, ma di ascoltare genitori, insegnanti e pedagogisti prima di formulare proposte che riportano indietro le lancette della storia scolastica
5. Di sospendere le forme di punizione basate sui voti e sulle bocciature
6. Di considerare la scuola una vera comunità di apprendimento e non un luogo dove espiare le proprie colpe
7. Una scuola dove la formazione degli insegnanti sia orientata alle competenze pedagogiche e non a quelle digitali
8. Una scuola dove l’alunno difficile non deve per forza avere un disturbo neuropsichiatrico
9. Di vivere la scuola come occasione per essere felici, senza mortificazioni verso nessuno

1. Una scuola senza voti.
Bisogna uscire dall’idea che il voto sia necessario. Le classifiche mettono solo ansia e ripropongono un modello di competizione che è evidentemente fallimentare. A scuola bisogna andare per imparare con piacere, non subendo le lezioni come un obbligo, come un ostacolo da dover superare il prima possibile.

2. Una valutazione basata sul riscontro dei progressi e non degli sbagli.
Assenza di voti non vuol dire assenza di valutazione. La valutazione è in diritto ma deve considerare l’evoluzione del percorso scolastico e basarsi sulle caratteristiche di ogni alunno o alunna. I voti cristallizzano un singolo momento, una valutazione evolutiva è in grado di considerare tutto il percorso.

3. Una cultura dell’errore come strumento formativo di autoregolazione e apprendimento.
L’errore è una tappa fondamentale dell’apprendimento. Nella paura di sbagliare scompare la motivazione e si paralizza ogni spunto positivo. A scuola, sbagliare deve essere giusto e accettato come parte del processo di apprendimento.

4. Al Ministro: di non inseguire metodi antiquati come i giudizi sintetici, ma di ascoltare genitori, insegnanti e pedagogisti prima di formulare proposte che riportano indietro le lancette della storia scolastica.
Affermare che “insufficiente” chiarisca quali siano le difficoltà e quali le positività di un alunno vuol dire non capire di cosa si sta parlando ma, semplicemente, riproporre pratiche inerziali perché “si è sempre fatto così”. L’Italia ha bisogno di fare passi avanti, non di tornare indietro.

5. Di sospendere le forme di punizione basate sui voti e sulle bocciature.
Punire non ha senso, specialmente all’interno di un processo di apprendimento. L’idea che punendo si possa far riscoprire impegno, amore per l’apprendimento e motivazione scolastica è fuori da ogni logica. La scuola del bastone e carota svilisce la relazione educativa degli alunni.

6. Di considerare la scuola una vera comunità di apprendimento e non un luogo dove espiare le proprie colpe.
Imparare è un atto collettivo. Solo con la condivisione, con il lavoro comune, si può avviare un processo di apprendimento in grado di essere davvero positivo e ancorato alle necessità della realtà. Questo aiuterebbe tutti quegli alunni e quelle alunne che solitamente, in una scuola concepita come individualista e punitiva, finisco con il subire etichette e con il provare ansia e fastidio nel solo andare in classe.

7. Una scuola dove la formazione degli insegnanti sia orientata alle competenze pedagogiche e non a quelle digitali.
Gli insegnanti non devono essere una riproposizione umana di google. Il nozionismo, nell’epoca delle intelligenze artificiali, non ha davvero alcun senso. Sarebbe auspicabile che la formazione del corpo docente tenesse conto di come l’insegnante ricopra in realtà un suolo un regista dell’apprendimento, creando stimoli per un processo maieutico di scoperta. Per questo, serve avere basi pedagogiche non sapere date a memoria.

8. Una scuola dove l’alunno difficile non deve per forza avere un disturbo neuropsichiatrico.
Basta neuro-medicalizzazione a tutti i costi. Chiaramente ci sono alunni con necessità specifiche, ma spesso la risposta migliore alle difficoltà è semplicemente pedagogica. Non è apponendo etichette che si possono risolvere i problemi.

9. Di vivere la scuola come occasione per essere felici, senza mortificazioni verso nessuno.
I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, semplicemente, hanno il diritto alla felicità.

Durante il Convegno “La scuola non è una gara” è stato presentato un sondaggio, a cura di Antonella Gorrino e Massimo Lussignoli che ha coinvolto 2137 studenti e studentesse delle scuole superiori di tutto il territorio nazionale. Non vuole essere rappresentativo della totalità della componente studentesca ma sicuramente la tendenza che emerge ha una sua significatività che ci interroga sul come stanno gli alunni a scuola e cosa pensano riguardo ai voti.

++ IL 71% DEGLI INTERVISTATI VORREBBE UNA SCUOLA SENZA VOTI ++

Un risultato netto, immaginabile ma non scontato per la proporzione con la quale si è espresso e per l’assenza di significative differenze tra le varie tipologie di scuola.
Il motivo che emerge nettamente rispetto al tema dei voti è sicuramente l’ansia. L’87% degli studenti affermano che verifiche e interrogazioni producono ansia che aumenta con il progredire del tempo. I ragazzi del triennio hanno risposto affermativamente per l’89% di contro all’87% del biennio. Sono i ragazzi del liceo che “soffrono maggiormente di ansia, 92%, in buona compagnia con istituti tecnici e professionali al 90%.

Non è la competizione ciò che determina l’ansia: il 51% dei ragazzi non ritiene che i voti mettano in competizione. Solo una piccola percentuale lo pensa. È stato approfondito questo aspetto chiedendo nello specifico agli studenti cosa pensano quando un compagno ha un voto più alto del suo. Anche in questo caso il risultato è molto significativo: il 67% afferma di non attribuire significativa importanza ad un voto più alto del compagno e questa tendenza aumenta con l’età. I ragazzi del triennio concordano con questa affermazione per il 69% di contro al 66% del biennio.

L’idea che i voti servano per motivare ad apprendere e che servano per migliorare, che è propria degli adulti, non appartiene ai ragazzi. Il 55% degli intervistati non condivide questa idea e il 67% non ritiene neppure che i voti servano per valutarli concretamente. Anche in questo caso questa posizione aumenta con il passare del tempo.

Il sondaggio ha esplorato anche cosa significa stare bene a scuola. Per il 51% significa stare bene con gli amici, solo il 15,5% risponde “imparare qualche cosa di nuovo”. Non stare bene a scuola, invece, per il 50% vuol dire essere giudicato o sotto pressione. Il dato che emerge è che sono le relazioni, e soprattutto le relazioni con i pari, a decretare benessere a scuola. I ragazzi considerano i rapporti di solidarietà fondamentali. Il 59% afferma di essere disposto ad aiutare un compagno in difficoltà.

Il sondaggio conferma il tema del convegno. La scuola per i ragazzi non è una gara ma è un luogo dove cercare allenatori che li sostengano. Diversamente diventano generatori di ansia e fonte di giudizio inibente.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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