“Confesso di avere provato un doloroso smarrimento alla notizia della scomparsa di Elio Tosi. Difficile trovare le parole per ricordare un amico (da bambino mio padre mi portava a volte al suo ristorante), un galantuomo, il protagonista di una Storia lunga quasi un secolo in cui la leggenda di Rimini si è intrecciata a milioni di storie individuali, nessuna uguale all’altra.
I ricordi si affastellano ed è difficile dargli forma razionale. Parto dal più istituzionale, cioè la cerimonia di consegna del Sigismondo d’Oro 2018. Non ci credeva, Elio. Si schermiva. ‘Perché io?’. Poi partiva con il racconto della sua vita, l’epopea di una città letteralmente sbriciolata dalle bombe e poi risorta come l’araba fenice. Non per grazia ricevuta, ma grazie al lavoro di persone perbene come Tosi. Gli straordinari aneddoti legati al mito dell’Embassy e delle celebrità che lo frequentavano sotto l’occhio discreto e competente di Elio e le ‘carezze’ culinarie della moglie Rita (il tavolo per Fred Buscaglione, i tagliolini allo scoglio per Mina, le canocchie a Gianni Morandi, i maccheroncini ‘dell’Embassy’ per Mike Bongiorno) venivano porti con quella sobrietà che è tratto tipico dell’eleganza naturale e di una umanità profonda, figlie di fatica senza mai un lamento. “La mia è stata una vita di sacrifici– aveva detto in una intervista-. Si sfacchinava, io e mia moglie, tutto il giorno. Mai una pausa. Anche quando andavo a fare la spesa non mi rilassavo: cercavo le cose migliori e non era facile trovarle. Ma se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto”. Magari oggi molti si chiederebbero il perché di questa passione. Lo spiegava Elio con parole semplici: ‘Facevamo a gara tra noi a chi faceva star meglio l’ospite. Se stan bene loro, stiam bene anche noi’. E al di là di tutto, delle sovrastrutture, delle analisi, dei modelli, se si dovesse indicare in una sola cosa il segreto della fortuna di Rimini, forse starebbe proprio in quella frase. E in una stretta di mano: la sua, forte come il bene che aveva per la sua famiglia e per la sua città.
Elio Tosi è stato prima di tutto un uomo e una grande persona. E questo potrebbe riempire non una, ma almeno tre vite. Ma poi ha saputo fare di più e di meglio per sé e per la propria città: ha dato l’esempio. L’esempio che sono le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre mani a modellare il presente e il futuro, e non per forza viceversa. È sempre stato pioniere presente a se stesso, termine che non per forza è sovrapponibile alla sola gioventù ma è uno stato permanente dell’anima. Darti una pacca sulle spalle, accompagnata dal consiglio ‘B-sogna andè aventi!’ era un moto istintivo e semplice per invitare a non guardarsi indietro, a credere nel cambiamento come progresso, l’invito a essere generosi in un mondo che troppo spesso vede i padri mangiarsi per egoismo il futuro dei figli. Se Rimini oggi è forte e punto di riferimento internazionale in molti aspetti non solo economici, lo si deve anche a uomini come Elio Tosi. Ringraziarlo e ringraziare le persone come lui non è mai abbastanza.
Durante la cerimonia di consegna del ‘Sigismondo d’Oro’ leggemmo queste motivazioni:
Bello, ma adesso mi rendo conto che le parole più alte e toccanti non possono circoscrivere la ricchezza di vite come questa, eredità che con discrezione e eleganza lascia a disposizione di tutti o almeno di chi vorrà coglierla. ‘Siamo fatti della nostra piccola città, dei suoi muri, delle storie che sappiamo di lei e di altri come noi. Siamo fatti di quell’aria lì’. Qui a Rimini, Emilia Romagna, Italia, mondo. Ciao Elio, ci mancherai, mi mancherà la tua stretta di mano, forte e solcata dai segni della fatica e del lavoro. La mano generosa dei nostri genitori, dei nostri nonni. Noi, a Rimini, siamo fatti di queste cose qui”.
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