Bologna

Consiglio solenne per la Giornata internazionale della donna, l’intervento della vicesindaca Emily Clancy

BOLOGNA – Si è tenuta oggi a Palazzo d’Accursio, la seduta solenne congiunta del Consiglio comunale e metropolitano dedicata alla Giornata internazionale della donna.

Di seguito, l’intervento della vicesindaca Emily Calncy

“Grazie Presidente,
un saluto a lei e tutto il Consiglio comunale e metropolitano, alla Giunta, alle autorità civile e militari, alle rappresentanti di enti e dell’associazionismo presenti in aula e alla nostra graditissima ospite, la professoressa Giuditta Brunelli.

Oggi ci riuniamo in questa seduta solenne per celebrare l’8 marzo, Giornata internazionale della donna e dei diritti delle donne. Una giornata che porta con sé il peso della storia e la responsabilità del futuro, in un momento in cui diritti che davamo per acquisiti vengono rimessi in discussione e in cui la lotta femminista ci ricorda che la strada verso l’uguaglianza non è ancora compiuta.

Grazie ai movimenti femministi di tutto il mondo, questa giornata internazionale è una giornata di celebrazione delle conquiste delle donne, di memoria e gratitudine per tutte coloro che ci hanno aperto la strada, ma anche e soprattutto una giornata di lotta, di sciopero, di rivendicazione e riflessione su quanto ancora c’è da immaginare, costruire e agire per costruire una società in cui davvero si possa parlare di equità fra i generi. Un giorno in cui fermarsi a riflettere e fare un bilancio, in cui si intrecciano il passato e la sua eredità di memoria, il presente, con le sue permanenti iniquità, l’orizzonte di un futuro che vogliamo sia diverso e migliore.
Passato presente e futuro sono molto ben rappresentati nell’immagine che accompagna il calendario delle oltre 200 iniziative sul territorio di Bologna metropolitana che ha realizzato per noi Ionela Oborocean, studentessa del corso di design grafico dell’Accademia di Belle Arti nel progetto Poster for the City a cura del professor Danilo Danisi. Oborocean ha raccontato con un’immagine potente il legame tra le donne di ieri e quelle di oggi e domani, un filo giallo che le unisce nella lotta per i diritti.

Quest’anno il nostro Consiglio solenne congiunto dedicato alla Giornata Internazionale della Donna celebra un anniversario fondamentale: gli ottant’anni dal decreto che ha riconosciuto il diritto di voto alle donne in Italia. Grazie Presidente Manca per aver scelto di dedicare il consiglio solenne a questo tema e alla Professoressa Giuditta Brunelli per il suo intervento.
Era il 1945 quando il diritto di elettorato attivo e passivo fu esteso alle donne, il 1946 quando le donne poterono esercitare per la prima volta questi diritti, un passaggio storico che ha cambiato il volto del nostro Paese, aprendo la strada alla costruzione di una democrazia più equa e rappresentativa e a tutti gli avanzamenti legislativi ricordati poc’anzi nell’intervento della prof.ssa Brunelli.
Fa impressione pensare che questo traguardo così basilare per una vera parità di opportunità abbia solo ottant’anni di storia nel nostro paese, ma questo ci deve dare forza: il patriarcato ha millenni di storia, guardiamo invece in ottant’anni di lotta quanto hanno fatto le donne e i femminismi per il progresso dell’intera società.
Inoltre quando oggi celebriamo questo traguardo, non possiamo dimenticare che il diritto di voto per le donne non è ancora garantito ovunque: in molte parti del mondo le donne continuano a essere escluse dalla partecipazione politica, private della libertà di esprimersi e di autodeterminarsi.

Dobbiamo inoltre chiederci: quale significato ha oggi il voto delle donne? In un’epoca in cui l’accesso alle urne non è evidentemente sufficiente a garantire una vera parità, figuriamoci una piena equità, dobbiamo interrogarci su quanto le istituzioni siano capaci di dare risposte concrete alle istanze delle donne e delle soggettività marginalizzate.
Il voto è uno strumento potente, ma da solo non basta: servono politiche che garantiscano parità salariale, accesso al lavoro, congedi parentali equi, educazione alle differenze, lotta alla violenza di genere, tutela dei diritti riproduttivi, libertà e autodeterminazione.
A Bologna, come Amministrazione, proviamo ad impegnarci ogni giorno per costruire una città più giusta e più inclusiva. Abbiamo adottato il Bilancio di Genere, per far sì che ogni risorsa pubblica sia impiegata con una visione intersezionale, provando a riequilibrare le disuguaglianze presenti nella nostra società. Non possiamo dimenticare che i fenomeni noti come gender pay gap e motherhood penalty, il divario di genere nella retribuzione e la cosiddetta sanzione di maternità, continuano a rappresentare ostacoli strutturali all’indipendenza economica e alla piena partecipazione delle donne alla vita pubblica e lavorativa. Non a caso lavoro è infatti uno dei temi centrali del Piano per l’Uguaglianza metropolitano, con approfondimenti dedicati, per esempio, all’incidenza delle dimissioni a seguito di una gravidanza con il progetto “Mamma rimane al lavoro”, oggetto anche di una campagna realizzata da Comunicattive.

Serve un impegno concreto, soprattutto da un punto di vista statale, per superare queste disuguaglianze, garantendo retribuzioni eque, condivisione del lavoro di cura e politiche che sostengano le donne nel conciliare vita e lavoro senza rinunce forzate.
Inoltre la nostra progettazione urbana non può prescindere da una visione che metta al centro le donne e le soggettività marginalizzate, garantendo sicurezza, accessibilità e partecipazione attiva alla vita pubblica, per questo tengo molto al lavoro trasversale e intersettoriale che la nostra Amministrazione sta mettendo in campo adottando una lente di genere nell’urbanistica, nella toponomastica, nella mobilità, nello sport, nella cultura e nell’economia della notte, nella scuola, nella salute, nella sicurezza urbana integrata e nell’amministrazione condivisa, attraverso progetti come l’Atlante e le mappe di genere.
Promozione delle pari opportunità, tutela ed educazione alle differenze, contrasto alla violenza di genere devono trovare spazio in ogni ambito delle politiche e delle azioni dell’Amministrazione. Un lavoro corale e collettivo di tutta la giunta, il consiglio, i settori tecnici che ringrazio.

Abbiamo poi rinnovato l’Accordo metropolitano con i Centri Antiviolenza, aumentando le risorse, i posti di accoglienza e il supporto per le donne che vogliono uscire dalla violenza. la lotta alla violenza di genere è naturalmente un tema imprescindibile. E colgo l’occasione qui di salutare una donna straordinaria che ho conosciuto personalmente e professionalmente: l’avvocata Valeria Fabj che, a 98 anni, va in pensione dopo aver difeso per una vita i diritti delle donne e amaramente ricorda, in un’intervista di oggi, che ‘abbiamo ancora una donna che muore, ogni tre giorni, per mano di un uomo’, ma poi dice ‘bisogna ancora arrabbiarsi e lottare, io non ho mai smesso’. Grazie.

Tutti questi tasselli potrebbero però non essere sufficienti se non riconosciamo che la battaglia per i diritti delle donne è anche una battaglia contro ogni forma di oppressione.
L’8 marzo è anche la giornata delle lotte femministe e transfemministe, di chi scende in piazza per rivendicare diritti, per opporsi alle guerre e alle politiche patriarcali che le alimentano.
A Bologna, a Roma, a Napoli, a Torino, come in molte altre città italiane e del mondo, decine di migliaia di persone hanno manifestato lo scorso sabato rispondendo alla chiamata di Non Una di Meno contro un sistema che continua a marginalizzare e reprimere. Noi, come istituzioni, abbiamo il dovere di ascoltare queste voci e di tradurre queste rivendicazioni in azioni concrete.
Bologna è e deve continuare a essere una città femminista e intersezionale, una città che riconosce che gli spazi e i servizi pubblici possono perpetuare oppure sfidare le disuguaglianze di genere.

Nel loro “Femminismo per il 99%, un manifesto” Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser descrivono la necessità di un femminismo che sia davvero intersezionale e di liberazione: il soffitto di cristallo non è rotto quando le donne occupano ruoli che finora erano prerogativa o esclusiva degli uomini. La pari rappresentanza è condizione necessaria e fondamentale, ma affatto sufficiente, a riconoscere le esigenze della stragrande maggioranza delle donne, ed è qui che i femminismi intersezionali giocano un ruolo di cambiamento storico della nostra società.
Perché dà centralità ad esigenze come la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e i diritti sindacali; il riconoscimento della fondamentale funzione di cura delle donne – vero e proprio lavoro non pagato che oggi grava in modo sproporzionato sulle donne a causa di un sistema che ancora non redistribuisce equamente questo impegno – il diritto alla salute e a un ambiente non inquinato, la lotta contro ogni forma di discriminazione, violenza e guerra.
Le autrici dettagliano come il femminismo non sia un’alternativa alle lotte per i diritti sociali ed economici, anzi, questa ondata di femminismo intersezionale è lo spazio decisivo della lotta per una società che rompe il patriarcato, per una società antirazzista, antiabilista e libera da tutte le forme di oppressione, che siano di sfruttamento sul lavoro, delle risorse del pianeta, di prevaricazione di un genere sull’altro.

Per questo vorrei soffermarmi nuovamente sul ruolo della democrazia rappresentativa – nella quale, ovviamente, riponiamo fiducia dato che parliamo da elette in questo consesso.
Tuttavia, forse proprio qui, vale la pena rammentare che, tra la formale possibilità di esercitare l’elettorato attivo e passivo e il suo effettivo esercizio, possono frapporsi ostacoli di natura sociale, culturale, economica.
La fondamentale possibilità, legislativamente riconosciuta, dell’esercizio di voto – per le donne come per gli uomini – deve essere dunque inserita in un contesto che ne permetta l’effettivo esercizio e, dirò di più, l’esercizio pieno e consapevole.
Dunque certamente dalla possibilità di rappresentarsi e farsi rappresentare nelle assemblee elettive discendono effetti di parità nella società (come l’attenzione legislativa e regolamentare a temi che sarebbero altrimenti sottorappresentati – e che ancora lo sono, anche nel nostro paese… ne cito uno solo come esempio paradigmatico se pensiamo alla, apparentemente semplice, questione dell’iva sui prodotti mestruali), ma ancora più importante credo siano le condizioni generali della società nel suo insieme, le sue strutture sociali ed economiche, le sue organizzazioni associative che influiscono – in una dinamica dal basso verso l’alto – perché la rappresentanza possa essere esercitata con pienezza.
Vi sono molti stati nel mondo in cui il diritto di voto – e non solo il diritto di voto delle donne – seppur garantito, si esercita come mera formalità, permanendo ostacoli pesantissimi alle libertà, ostacoli per di più, paradossalmente, validati dal voto.
Perciò a questo dobbiamo guardare con attenzione e tendere: dove sia garantita ed esercitata pienamente le libertà delle donne, lì troveremo un esercizio democratico pieno e libertà per tutte e tutti.
La libertà e l’attivismo delle donne dunque è sempre garanzia di libertà, anche per il mondo maschile, mentre non è per nulla vero o scontato il contrario, anzi.
Per questo mi piace ricordare qui oggi un esperimento, del tutto controcorrente per il contesto nel quale è nato, e che trae la sua forza democratica proprio dalle messa al centro delle donne, con la consapevolezza che la loro libertà riverbera libertà su tutte e tutti.
Si tratta del Confederalismo democratico del Rojava, nel Kurdistan siriano, oggi – come ieri – così gravemente minacciato, da ogni lato e dai regimi che si succedono, proprio per il suo portato simbolico e per l’esempio che, con la sua semplice esistenza e resistenza, rappresenta in un contesto martoriato dalle guerre maschili.
In rappresentanza di tutte le donne che resistono e lottano nel mondo – e sono tante, tantissime – oggi voglio ricordare e salutare le donne del Rojava e il loro esperimento di democrazia radicale e di pace. Per tutte “Jin, jiyan, azadi” (Donna, vita, libertà).

Perché, come donne lo sappiamo bene, la politica passa dai nostri corpi, letteralmente. Con i corpi, in primo luogo delle donne, si fa politica, si costruiscono e distruggono simboli, si esercita potere. Il corpo è e deve essere per questo al centro delle nostre politiche. Il corpo con i suoi colori, con le sue pulsioni, i suoi orientamenti.
Che i corpi delle donne, delle bambine, delle anziane, delle donne razzializzate, delle donne disabili, delle soggettività Lgbtqia+ possano essere soggetti di potere e non più oggetto del potere deve essere il nostro più alto obiettivo.

L’8 marzo è un giorno di celebrazione, ma anche di lotta. E noi, come amministratrici e amministratori, dobbiamo essere all’altezza di questa giornata, cogliendo il portato delle pratiche del femminismo, traducendo le parole in politiche, gli impegni in azioni concrete. Perché l’orizzonte femminista è mobile, spetta a noi continuare a spingerlo sempre più in là”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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