Bologna

Consiglio comunale, l’intervento d’inizio seduta del consigliere Davide Celli

BOLOGNA – Di seguito, l’intervento d’inizio seduta del consigliere Davide Celli (Verdi):

“Piantiamo alberi, ma proteggiamo quelli che già abbiamo.
I mezzi d’informazione hanno dato notizia che stiamo perdendo settemila ettari di foreste che sono state colpite dalla tempesta Vaia che si è abbattuta sulle Dolomiti e le Prealpi Venete nell’ottobre del 2018. La colpa è di un piccolo insetto, del Bostrico, la cui popolazione, grazie al legname abbattuto dalla tempesta, è aumentata enormemente. Per questo il Bostrico ha incominciato ad attaccare il legno degli alberi sani che assorbivano ogni anno un quantitativo di co2 pari a quello emesso da 5 milioni di automobili, il danno subito dalla filiera del legno, così da spostarci dall’ecologia all’economia, è pari a 350 milioni di euro. Resta da capire come si può intervenire per compensare le ingenti perdite di superficie boscosa mondiale legate ai cambiamenti climatici, ai parassiti come in questo caso, ma anche agli incendi, ai disboscamenti illegali e quelli legali che nessuno prende mai in considerazione. Tempo fa, il noto botanico e saggista, Stefano Mancuso, a cui va tutta la mia stima, ha dichiarato che se vogliamo salvare il pianeta e fermare la crisi climatica servono mille miliardi di alberi in più. Si tratta di una stima di minima considerando che abbiamo perso, e continuiamo a perdere, gran parte della superficie forestale terrestre. La nostra stessa Europa, come scrissero i primi storici latini, era ricoperta dai boschi a tal punto che uno scoiattolo avrebbe potuto attraversarla saltando da un ramo all’altro senza mai mettere un piede per terra. Questo poiché le opere dell’uomo erano estremamente rarefatte e permettevano alle piante e agli animali un alto grado di connettività, un grado ben diverso da quello attuale che, al contrario, ha via via confinato la natura selvaggia all’interno di un arcipelago di piccole isole divise, non più dal mare, ma da strade, autostrade, città, campi coltivati, barriere insormontabili di ogni genere e sorta. Basta guardare le immagini che i satelliti ci regalano per comprendere che la domesticazione umana del pianeta ha sottomesso quasi del tutto la natura indomita e selvaggia.

Se racconto tutto questo è per ricordare che piantare un albero non significa creare un bosco. Un bosco cresciuto da solo contiene un’infinità di relazioni ecologiche che si sono instaurate indipendentemente dall’uomo e hanno impiegato, e impiegano tuttora, un arco di tempo immenso per formarsi. Con questo non voglio sostenere che non bisogna piantare alberi. Tutt’altro, io stesso, ogni anno, pianto una cinquantina di alberi che coltivo in casa durante l’inverno. Detto ciò, ogni albero, preso da solo, o piantato laddove non vi è più niente, non ha alcuna rilevanza, possiamo piantarne cento, mille, un miliardo, possiamo piantare mille miliardi di alberi, ma questi non necessariamente diventeranno una foresta. Lo saranno solo se riusciremo a connettere i nuovi alberi ai boschi esistenti che serbano tutte quelle infinite relazioni ecologiche alle quali ho accennato poc’anzi, dobbiamo sostenere la natura, non sottometterla. È sbagliato credere di poter radere al suolo i nostri boschi per farne legno per i mobili o carpenteria per i cantieri o combustibile se siamo sospinti dall’idea, antropocentrica e illusoria, che ciò che viene distrutto in pochi istanti può essere rimpiazzato in quattro e quattr’otto. I boschi non sono un campo di grano. I boschi non sono un pioppeto.

Sacrificare la natura selvaggia per poi ricostruirla con piante nate e cresciute sotto la protezione dell’uomo, quindi dalla forza incerta, dal corredo genetico tutto da indagare, alludo alle piante coltivate artificialmente, non ha nulla a che vedere con l’economia circolare come mi è capitato di leggere da qualche parte. Si può e si deve piantare alberi, ma allo stesso tempo si deve proteggere e conservare quello che già possediamo, quell’immenso patrimonio che seppur martoriato ancora si conserva in buono stato in Appennino, negli alvei dei fiumi e nelle zone umide. Piantare e proteggere, non tagliare e ripiantare. Nemmeno si deve tagliare e non ripiantare niente. Se poi si vuole incentivare un’economia forestale la si deve pianificare, e cioè si deve dire dove e come si taglia. Non si possono tagliare i boschi a caso o lasciare in piedi dei fuscelli che si spezzeranno alla prima neve. E soprattutto si devono proteggere tutte quelle zone boscose adiacenti alla nostra città, qui cunei verdi che possono trasmettere la biodiversità ai nostri parchi urbani, parchi urbani la cui gestione deve prevedere delle zone di prima accoglienza per piante e animali laddove si riescano a stabilire delle connessioni. Piantare e proteggere. Non vedo altra strada se non questa se vogliamo veramente fermare la crisi climatica”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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