BOLOGNA – In apertura del Consiglio comunale di oggi, il sindaco Matteo Lepore è intervenuto per parlare di contrasto alla violenza contro le donne.
“Buongiorno Presidente, buongiorno a tutte le consigliere e i consiglieri. Non è la prima volta che intervengo in questa sede per ragionare assieme dopo un femminicidio che ha colpito la nostra comunità nazionale o locale.
Voglio partire riflettendo attorno alle parole molto dure e chiare della sorella di Giulia che a sua volta è già vittima di attacchi, di insulti, di richieste di alleanza o meglio potremmo dire, con questa parola che ha un suo grandissimo valore se usata in altre sedi, di fratellanza fra uomini che devono difendersi in questo momento da quello che le donne vogliono indicare come un problema.
Io credo che noi in questa fase non possiamo eludere le questioni. In particolare questa parola, patriarcato, di cui molti ripetono il suono con un sorriso. Credo che noi dobbiamo avere un profondo rispetto. Perché il sistema nel quale noi viviamo, ho già avuto modo di dirlo nei giorni dopo il femminicidio Matteuzzi, è un sistema basato sul dominio degli uomini sulle donne. Questo noi lo dobbiamo riconoscere, in particolare nelle sedi istituzionali, nei luoghi di lavoro, dobbiamo anche riflettere sulle nostre relazioni affettive e interpersonali.
La vicenda di Giulia Cecchettin è purtroppo l’ennesima che ci vede fare un conto delle vittime di una violenza che è strutturale e ci racconta come la nostra società è organizzata. I dati ce lo dicono perché una donna su tre ha subito una violenza fisica o sessuale e una donna ogni tre giorni è uccisa da un uomo. Sono dunque gli uomini che uccidono le donne e la società organizzata intorno agli uomini che riduce ai minimi termini l’importanza sociale e individuale delle donne, il loro peso economico, la loro disparità nelle cariche di potere e in tutte le posizioni di guida delle istituzioni. La radice è sempre la stessa. E dunque anche quest’anno ci avviciniamo al 25 novembre con manifestazioni, con prese di posizione, con i nomi e i volti di nuove vittime. Voglio però raccontarvi del viaggio che sto facendo da due anni a questa parte, in particolare nella comunità scolastica. Dopo il femminicidio Matteuzzi siamo scesi in piazza, abbiamo chiesto agli uomini di marciare, di prendere posizione, alla prima manifestazione in Bolognina ci siamo ritrovati in 2mila persone per andare insieme sotto casa sua. Un anno dopo ci siamo ritrovati di nuovo, denunciando quello che ancora stava accadendo nella nostra società, nel nostro paese.
Abbiamo deciso come Amministrazione comunale di rafforzare tutte le nostre iniziative, lo abbiamo già deciso nel nostro programma di mandato, e quel giorno dopo la marcia mi sono preso l’impegno con la sorella di incrementare il nostro lavoro per l’educazione all’affettività nelle scuole. In questo senso abbiamo già iniziato un percorso che ha ulteriormente rafforzato tutta una serie di interventi che facciamo per contrastare la violenza di genere. Ma ho voluto insieme all’assessore Ara andare nelle scuole, non solo per i casi di bullismo di cui abbiamo letto di recente, ma perché ci eravamo presi un impegno con la comunità scolastica. Ho già fatto tre incontri con una platea molto ampia di studenti e studentesse, circa 300 ogni volta, alle Guinizelli, al Liceo Copernico e alle Aldini, in alcuni casi sono scuole con una presenza numerica molto alta di ragazzi. Sono incontri durante i quali insieme ai professori e ai rappresentanti dei genitori iniziamo a rompere il ghiaccio con alcune domande.
In particolare io e l’assessore Ara chiediamo ai ragazzi e alle ragazze come stanno, come vedono la nostra città, se hanno paura della nostra città, quali sono le situazioni in cui hanno paura. E devo dirvi che nel primo quarto d’ora parlano di quello che leggono sui giornali, di quello che vedono sui social, poi si aprono. Il racconto che abbiamo da parte dei più giovani è un racconto molto dettagliato di quelle che sono le vere presenze sociali, le vere condizioni di vita delle nostra comunità, quello che loro sentono sulla loro pelle. E questi ragazzi, e in particolare le ragazze che sono le prime ad aprirsi, raccontano di una quotidianità fatta di abusi, di molestie, di persone che vengono seguite, di paura dietro ogni angolo. Questa paura è dovuta in parte a una cappa sociale, ma anche perché queste cose accadono. Perché vi dico questo? Perché i ragazzi hanno innanzitutto paura di noi, degli adulti, fanno fatica a riconoscere la nostra comunità degli adulti come comunità di riferimento. Non sentono che gli adulti siano un esempio. E noi dobbiamo riflettere su cosa significa dare l’esempio, essere un esempio per i più giovani, assumendoci la responsabilità dei nostri errori, della nostra costruzione mentale, di come noi coltiviamo le nostre relazioni affettive, innanzitutto nel nucleo familiare, poi nella società. Perché i ragazzi crescono in contesti nei quali la violenza è quotidiana. Noi possiamo considerare che la nostra famiglia sia fuori da questa esperienza ma in realtà non è così. Ognuno di noi ha dentro quel quarto di violenza che può crescere. E questo lo dobbiamo riconoscere perché purtroppo la nostra società è programmata in questo modo. Esiste però il libero arbitrio, nel senso che gli uomini non sono condannati a fare violenza contro le donne. Possono anche ragionare con la testa ed assumersi delle responsabilità. E questo, da genitori, dovrebbe essere un meccanismo non dico naturale ma che sicuramente ci pone dei quesiti, perché ci dobbiamo confrontare con qualcuno che stiamo crescendo e la questione dell’affettività ce la dobbiamo porre.
Io credo che dobbiamo interrogarci come adulti se i nostri figli, i ragazzi delle nostre scuole ci dicono in gran parte che non si fidano di noi, che non siamo noi le persone cui si rivolgerebbero di fronte a una violenza, di fronte a qualcosa che non funziona. Ci dobbiamo mettere in discussione come cittadini e come rappresentanti delle istituzioni, come uomini e come donne, perché abbiamo un ruolo sociale. E questo in una città che ha visto crescere negli ultimi anni il numero delle denunce. Io non sono qui a giustificare le graduatorie che sono uscite, mi interessa poco questo dibattito, perché tanto il dato è più o meno sempre uguale. Però il giorno dopo il femminicidio Matteuzzi, quando ci siamo ritrovati anche al tavolo interistituzionale, ci siamo ricordati che occorresse aumentare un lavoro importante sulle denunce, sulle segnalazioni, sulla presa in carico preventiva, sul segnalare che qualsiasi segnale deve essere preso sul serio, non si può sottovalutare nulla. Non solo ci dobbiamo sconvolgere quando avvengono i femminicidi, ci dobbiamo sconvolgere quando i nostri ragazzi ci dicono che non riescono a chiederci aiuto, quando le ragazze della nostra città ci segnalano, e sono tante quelle che mi scrivono, che non si sentono sicuri e sicure dentro le mura di casa, in una scuola o nei percorsi per andare al lavoro o fuori la sera. Perché i numeri, e può sembrare paradossale detto da un sindaco, sono molto più alti di quelli che sono scritti sui giornali. I numeri reali di quello che dobbiamo affrontare, sono molto più alti di quelli che ci ricordiamo quando avvengono questi fatti di cronaca.
È la nostra vita che deve essere messa in discussione, è un lavoro educativo e sociale enorme, che deve essere certamente affrontato con le misure restrittive, con la giustizia, con le pene, con la polizia ma non possiamo lavarci la coscienza soltanto dicendo che il lato repressivo è la questione. Noi dobbiamo ritornare nelle nostre case assumendoci la responsabilità come uomini e come cittadini.
E dunque nelle giornate che abbiamo alle spalle, in quelle che abbiamo davanti, insieme alla Vicesindaca, insieme alle delegata Simona Lembi e a tantissime altre e altri, stiamo lavorando per rafforzare le nostre politiche. Stiamo lavorando con i sei centri antiviolenza sul territorio metropolitano, con più di 60 posti in accoglienza, i 28 sportelli antiviolenza, le quattro stanze rosa e i quattro punti di ascolto, due centri di aiuto e mutuo aiuto per gli uomini autori di violenza, 1121 donne che si sono rivolte ad un centro antiviolenza nel 2022, tra queste il 56% dichiara di aver subito violenza dai partner, il 23% dagli ex partner, il 10% da un familiare, il 5% da un amico o un conoscente.
Dobbiamo portare nei comitati per la sicurezza e l’ordine pubblico i casi di violenza in strada, atroci, che sono successi nelle scorse settimane. E non dobbiamo ignorare la dimensione di questo fenomeno, anzi dobbiamo andare incontro ai fenomeni perché dobbiamo saper affrontare quelli che sono i paradossi e le mancanze che può avere una città. Ecco perché il giorno 24 abbiamo deciso insieme alla Vicesindaca di organizzare un’assemblea in zona universitaria per incontrare i residenti, i commercianti ma soprattutto gli studenti e le studentesse. Perché se anche questi dati ci dicono che l’80% delle violenze avviene in casa, non significa che non dobbiamo affrontare la violenza che avviene in strada, che pure esiste ed è una preoccupazione che abbiamo. Abbiamo saputo che in quella giornata il movimento Non una di meno organizzerà una manifestazione a Bologna quindi faremo sicuramente l’assemblea in un orario diverso per non sovrapporci. Ma abbiamo bisogno di esporci, di esserci, di non farlo solo dopo l’ennesimo caso tragico perché se volessimo guardare la realtà, ogni giorno dovremmo fare la conta di quello che succede. E noi la realtà la vogliamo guardare anche se è una realtà che ci fa male, che mette in discussione il nostro essere persone degne di vivere nella nostra città. E questo discorso lo rivolgo agli uomini ma non secondariamente lo voglio rivolgere agli esponenti politici e i rappresentanti delle istituzioni”.