“L’Europa deve diventare un porto sicuro per migranti e rifugiati.
‘Il Mediterraneo è un grande cimitero, basta indifferenza’, sono le parole di Papa Francesco all’Angelus, mentre ad Augusta si svolgeva la cerimonia di accoglienza del relitto del barcone naufragato il 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia, che costò la vita a più di mille migranti, simbolo di tante tragedie nel Mar Mediterraneo.
Oggi, per i 410 migranti a bordo della nave di Medici senza frontiere, soccorsi in sette interventi negli ultimi giorni, la Ong chiede un porto sicuro. Tra loro donne, bambini e minori non accompagnati.
Sappiamo che in tutta l’UE vi sono città e Regioni disposte a fare di più per un effettivo ricollocamento dei richiedenti asilo, e i governi nazionali dovrebbero ascoltare le loro richieste e dimostrare che la solidarietà europea non è qualcosa di astratto. Non si tratta solo di adempiere ad un obbligo morale, ma anche di rispettare i diritti fondamentali dell’uomo.
È importante un approccio equo e coordinato da parte dell’UE e degli Stati membri per una vera politica comune in materia di asilo e migrazione. Tutti i paesi UE devono farsi carico delle proprie responsabilità, perché altrimenti il carico della gestione dei migranti peserà troppo sui paesi di frontiera. Il fenomeno migratorio interessa l’UE nel suo insieme, è fondamentale una vera ripartizione comune delle responsabilità in materia di migrazione e asilo e una vera solidarietà tra paese europei. Occorre prevedere misure più stringenti come, ad esempio, vincolare le risorse della politica di coesione per gli Stati membri che attuano la solidarietà prevista nei Trattati europei.
Le Città e le Regioni sono in prima linea nella gestione dell’accoglienze e integrazione dei migranti e sono pertanto interessate direttamente dalle sfide e dalle opportunità ad esse legate. Credo importante assicurare che le risorse dell’UE arrivino direttamente a Città e Regioni europee impegnate per l’integrazione dei migranti. Le parole sulla quali puntare, ancora prima di accoglienza, sono inclusione, senso di comunità.
Nessuno abbandona terra, casa, affetti se non è costretto da guerre, povertà o disastri ambientali. Di molti di questi conflitti e disastri, inoltre, siamo noi i responsabili.
Non possiamo rimanere in silenzio, indifferenti alle stragi nel Mediterraneo”.
“Più armi nelle case significa meno sicurezza.
Ad Ardea, in provincia di Roma, un uomo con problemi psichici, in possesso della pistola del padre, ha ucciso due fratellini e una persona anziana, poi si è tolto la vita.
In Italia, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) denuncia come sia più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che da mafia o rapinatori: dal 2017 al 2019 sono stati almeno 129 gli omicidi commessi con armi regolarmente detenute, a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 omicidi per furto o rapina.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, l’Italia, dopo gli Stati Uniti, ha il triste primato di essere il primo paese del G8 per numero di omicidi commessi con arma da fuoco. La gran parte di questi omicidi avvengono in famiglia, stragi commesse da legali detentori di armi. Sono dati che dovrebbero portare all’attenzione pubblica e della politica il problema delle leggi e che regolano la detenzione di armi.
Oggi tutto si basa su una semplice autocertificazione, controfirmata dal medico curante, una breve visita presso l’Asl, simile a quella per ottenere la patente di guida, e un controllo da parte della Questura circa la ‘affidabilità’ di chi richiede la licenza per armi. Non è prevista alcuna visita o esami tossicologici o psichici.
Inoltre, con le modifiche apportate nel 2018 dalla Lega, con il consenso del M5s, chiunque – anche chi non pratica alcuna disciplina sportiva o la caccia – può detenere tre pistole con caricatori fino a 20 colpi, 12 fucili semiautomatici e un numero illimitato di fucili da caccia. Sono norme per favorire i produttori e i rivenditori di armi.
La strage di Ardea deve sollevare interrogati sulle norme che regolano la detenzione di armi e su un fenomeno crescente negli ultimi anni: gli omicidi-suicidi in famiglia, con armi legalmente detenute.
Mentre in altri paesi europei il numero delle armi detenute legalmente diminuisce, in Italia cresce (si calcola in oltre dieci milioni le armi in giro in Italia).
La politica deve rendere più stringente l’accesso alle armi da parte dei cittadini che con troppa facilità riescono a ottenere la licenza, e sono necessari seri controlli psico-fisici, con verifiche almeno annuali.
Durante la pandemia gli italiani si sono riscoperti più fragili, maggiormente propensi ad assumere psicofarmaci e a consumare alcolici. Questa instabilità psicologica può anche appartenere a chi detiene un’arma che in quel caso potrebbe diventare particolarmente pericolosa.
La politica deve intervenire con urgenza. Meno armi nelle case significa più sicurezza”.
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