Ravenna

Confesercenti: lettera aperta a Prefetto, Sindaco e Comandante Polizia Locale di Ravenna

RAVENNA – Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta inviata dal direttore provinciale Confesercenti Graziano Gozi al Prefetto, al Sindaco ed al Comandante della Polizia Locale di Ravenna:

“Gentilissimi,

sappiamo che siete sensibili al tema e che, purtroppo, i provvedimenti statali e regionali non lasciano spazio ad interventi locali, peraltro in una condizione di nuovo inasprimento dell’epidemia.

Ricordare che la maggior parte delle imprese vive momenti di grandissima difficoltà, quando non di propria disperazione, è stato ripetuto ormai così tante volte da rischiare di diventare un’altra di quelle cose su cui si perde il senso di empatia.

C’è un elemento su cui però potete incidere, e vi chiediamo di impegnarvi con tutte le vostre forze, come segnale di rispetto e di comprensione verso il mondo martoriato delle imprese: si tratta dei controlli tesi a garantire equità nel trattamento delle tipologie commerciali.

Perché, nel mancato rispetto delle regole di una parte dei cittadini, i primi a pagare sono spesso le imprese, cui viene imposta la chiusura. Ma anche perché nelle restrizioni, nelle chiusure, ci sono figli e figliastri. E questo rischia di creare ferite profonde non solo a livello economico, tra chi non ha alcuna possibilità di aprire e chi prova a restare a galla, ma anche sociale, di fiducia nelle istituzioni, del senso di equità e giustizia.

Occorre essere precisi perché è importante che, anche nel dramma, non venga mai meno il senso di solidarietà, di comunità, che la regola non diventi il pretesto per una miriade di escamotages, di furbizie che la aggirano e generano concorrenze sleali, ancor più odiose perché perpetrate sulla pelle di imprese, di famiglie agonizzanti.

In questo quadro, mentre le micro imprese e le imprese familiari del commercio sono chiuse senza se e senza ma, altre tipologie con grandi superfici di vendita traggono benefici utilizzando modalità discutibili.  Per esempio, ci viene segnalato che alcuni supermercati continuano a vendere articoli esplicitamente vietati, come merceria, abbigliamento a brand sportivo, addirittura calzature. Oppure, alcuni negozi di articoli sportivi, invece di vendere prodotti tecnici, continuano a vendere abbigliamento generalista a brand sportivo, come felpe, t-shirt, pantaloni, solo perché portano impresso qualche logo famoso. Si tratta di settori enormi, che contano centinaia e centinaia di capi, dove le persone continuano, pur in zona Rossa, a poter andare, mentre un negozio di abbigliamento che vende una felpa identica, ma con un logo diverso, deve restare al palo.

Con lo stesso escamotage si continuano a vendere calzature che poco hanno a che fare col calcetto o con la corsa, si continua a vendere di tutto perché in fondo anche la definizione di abbigliamento e calzature per bambini, la quale vendita rimane consentita diversamente da quella per adulti, è difficilmente discriminabile quando parliamo di pre-adolescenti che spesso indossano numerazioni e taglie assimilabili a quelle dell’adulto.

In questo ambito occorre e si deve fare di più: perché è sotto l’occhio di tutti, perché è una concorrenza commerciale non leale, che va fermata per ridare, se non speranza, almeno dignità alle imprese colpite.

Poiché crediamo nelle istituzioni vi chiediamo di vigilare affinché le regole siano uguali per tutti, e che vengano fatte rispettare con prontezza.

Una volta che il mondo che rappresentiamo sarà andato distrutto, forse certe situazioni di cui abbiamo parlato in questa missiva continueranno ad esistere, ma di certo avremo perso tutti, guadagnando solo in instabilità sociale, degrado urbano e dei centri, insicurezza del territorio.

Perché una luce di una vetrina è un faro acceso su una strada anche per chi nel negozio non ci entra. E questo è un monito per sia per gli amministratori che per i cittadini.

Graziano Gozi, direttore Confesercenti”

“Gentilissimi,

sappiamo che siete sensibili al tema e che, purtroppo, i provvedimenti statali e regionali non lasciano spazio ad interventi locali, peraltro in una condizione di nuovo inasprimento dell’epidemia.

Ricordare che la maggior parte delle imprese vive momenti di grandissima difficoltà, quando non di propria disperazione, è stato ripetuto ormai così tante volte da rischiare di diventare un’altra di quelle cose su cui si perde il senso di empatia.

C’è un elemento su cui però potete incidere, e vi chiediamo di impegnarvi con tutte le vostre forze, come segnale di rispetto e di comprensione verso il mondo martoriato delle imprese: si tratta dei controlli tesi a garantire equità nel trattamento delle tipologie commerciali.

Perché, nel mancato rispetto delle regole di una parte dei cittadini, i primi a pagare sono spesso le imprese, cui viene imposta la chiusura. Ma anche perché nelle restrizioni, nelle chiusure, ci sono figli e figliastri. E questo rischia di creare ferite profonde non solo a livello economico, tra chi non ha alcuna possibilità di aprire e chi prova a restare a galla, ma anche sociale, di fiducia nelle istituzioni, del senso di equità e giustizia.

Occorre essere precisi perché è importante che, anche nel dramma, non venga mai meno il senso di solidarietà, di comunità, che la regola non diventi il pretesto per una miriade di escamotages, di furbizie che la aggirano e generano concorrenze sleali, ancor più odiose perché perpetrate sulla pelle di imprese, di famiglie agonizzanti.

In questo quadro, mentre le micro imprese e le imprese familiari del commercio sono chiuse senza se e senza ma, altre tipologie con grandi superfici di vendita traggono benefici utilizzando modalità discutibili.  Per esempio, ci viene segnalato che alcuni supermercati continuano a vendere articoli esplicitamente vietati, come merceria, abbigliamento a brand sportivo, addirittura calzature. Oppure, alcuni negozi di articoli sportivi, invece di vendere prodotti tecnici, continuano a vendere abbigliamento generalista a brand sportivo, come felpe, t-shirt, pantaloni, solo perché portano impresso qualche logo famoso. Si tratta di settori enormi, che contano centinaia e centinaia di capi, dove le persone continuano, pur in zona Rossa, a poter andare, mentre un negozio di abbigliamento che vende una felpa identica, ma con un logo diverso, deve restare al palo.

Con lo stesso escamotage si continuano a vendere calzature che poco hanno a che fare col calcetto o con la corsa, si continua a vendere di tutto perché in fondo anche la definizione di abbigliamento e calzature per bambini, la quale vendita rimane consentita diversamente da quella per adulti, è difficilmente discriminabile quando parliamo di pre-adolescenti che spesso indossano numerazioni e taglie assimilabili a quelle dell’adulto.

In questo ambito occorre e si deve fare di più: perché è sotto l’occhio di tutti, perché è una concorrenza commerciale non leale, che va fermata per ridare, se non speranza, almeno dignità alle imprese colpite.

Poiché crediamo nelle istituzioni vi chiediamo di vigilare affinché le regole siano uguali per tutti, e che vengano fatte rispettare con prontezza.

Una volta che il mondo che rappresentiamo sarà andato distrutto, forse certe situazioni di cui abbiamo parlato in questa missiva continueranno ad esistere, ma di certo avremo perso tutti, guadagnando solo in instabilità sociale, degrado urbano e dei centri, insicurezza del territorio.

Perché una luce di una vetrina è un faro acceso su una strada anche per chi nel negozio non ci entra. E questo è un monito per sia per gli amministratori che per i cittadini.

Graziano Gozi, direttore Confesercenti”

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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