MODENA – Una composizione a spirale, dove il moto parte dai santi carmelitani in basso e, attraverso la mediazione della Vergine, giunge a putti e angeli e, di qui, alla Trinità.
Appare così la decorazione della cupola della chiesa di San Biagio, realizzata da Mattia Preti nel 1652, che, pur meno ardita, si ispira alla cupola di Sant’Andrea della Valle a Roma del pittore barocco romano Giovanni Lanfranco.
E nella sua realizzazione, l’artista, inserisce espedienti illusionistici tipici della cultura teatrale del tempo, come le ombre delle nuvole portate al di fuori dello spazio dipinto, sugli stucchi delle arcate, a invadere lo spazio dell’architettura con l’obiettivo di coinvolgere emotivamente il fedele. Il tutto, però, all’insegna di un naturalismo tipico della tradizione pittorica emiliana.
Oltre all’affresco la “Vergine accolta in cielo” nella cupola, all’interno della storica chiesa oggetto di rafforzamento sismico e restauro decorativo, altre opere sono da attribuire a Mattia Preti: il “Concerto d’angeli” nel coro e gli “Evangelisti” dei pennacchi sottostanti. Il tema del concerto, ampiamente praticato in pittura da oltre un secolo, mai era stato tradotto in forme tanto monumentali: un angelo al centro dirige una vera e propria orchestra in cui i musicisti, muniti di numerosi strumenti, accompagnano un ampio coro di voci angeliche.
Nel luogo di culto in via Emilia centro è inoltre presente l’affresco la “Madonna col bambino” di Tomaso da Modena, unica testimonianza rimasta della chiesa medievale, mentre maggiori sono i resti di epoca moderna, a partire dalle strutture dei secoli XV e XVI ancora presenti sotto i rifacimenti seicenteschi. A questa fase intermedia risale anche la grande pala con “Sant’Alberto di Sicilia” di Gian Gherardo delle Catene.
I dipinti della volta, con il profeta “Elia”, e delle pareti laterali, con la “Vita di Sant’Angelo”, sono di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, allievi del bolognese Girolamo Curti, detto “il Dentone”, cui erano state assegnate le decorazioni ma che si ammalò a morte e non poté completare i lavori. Infine, è di autore ignoto l’immagine su tavola della “Madonna del Carmine” inserita all’interno di un ricco altare in marmi policromi eseguito da Tommaso Loraghi.
La chiesa di San Biagio nel Carmine, originariamente intitolata “Santa Maria del Carmine” (1319, anno della sua fondazione assieme all’attiguo convento), assunse l’attuale denominazione e le funzioni di parrocchia nella seconda metà del Settecento. Già dalla metà del XV secolo il luogo di culto fu interessato da consistenti lavori edilizi, ma gli interventi di rifacimento che ne hanno determinato l’attuale aspetto risalgono al 1632, anno in cui per volontà del priore del convento, padre Monesi, venne ricostruita la sagrestia e, a seguire, furono interessate le strutture di convento e chiesa. I lavori furono affidati all’architetto Cristoforo Malagola, detto “il Galaverna”, mentre le pitture sono appunto opera di Mattia Preti, ingaggiato a Roma da un emissario di Francesco I. Nel 1783 il convento fu soppresso e i frati costretti ad abbandonare la città in ottemperanza a un decreto di Ercole III.
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