Non è stata ancora ritrovata, invece, la borsetta di una signora quasi centenaria che ha telefonato all’Ufficio oggetti rinvenuti del Comune dopo aver subito un furto in zona laghetti di Corticella. La signora, che ha sporto denuncia, conservava nella sua borsetta alcuni piccoli quaderni su cui erano appuntati i ricordi di una vita, dall’infanzia ai viaggi in Egitto, Brasile, Argentina. La signora rileggeva ogni sera quei taccuini come esercizio di memoria e spera di recuperarli: se qualcuno dovesse ritrovarli, può rivolgersi all’Ufficio oggetti rinvenuti.
Il proprietario, per rientrare in possesso del proprio oggetto o documento, deve presentarsi personalmente, con un documento d’identità valido, all’Ufficio che si trova in piazza Liber Paradisus 10 – Torre B – piano zero, e che è aperto il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 8.30 alle 12.30; il martedì dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 16.30 e il giovedì con orario continuato dalle 8.30 alle 16.30. Il proprietario deve fornire una descrizione dettagliata del bene e deve portare con sé l’eventuale denuncia.
Di tutti gli oggetti smarriti viene pubblicato mensilmente un elenco a cura dell’Ufficio oggetti rinvenuti del Comune di Bologna che si occupa di tenerli in custodia per 12 mesi.
Nel caso il proprietario non si presenti per il ritiro entro 12 mesi, l’oggetto viene restituito alla persona che l’ha trovato e consegnato. Il ritrovatore ha due mesi di tempo per ritirare l’oggetto. Tutti i beni non ritirati rimangono a disposizione del Comune e potranno essere messi in vendita all’asta. Nel caso in cui l’oggetto non avesse un reale valore economico o non riuscisse ad essere venduto all’asta, questo viene donato ad associazioni che presentano dei progetti di valore sociale, didattico in tema ambientale, di riuso e di riciclo o di aggregazione.
E proprio grazie ad uno di questi progetti, piccoli tagliandi di carta con bolli colorati da incollare sulle valigie si animano e diventano protagonisti del racconto di una studentessa del Liceo Artistico F.Arcangeli. Il racconto fa parte del progetto “L’og-getto che non getto. Storie di oggetti smarriti” dell’associazioni Visu-Ali a cui l’Amministrazione comunale consegna periodicamente alcuni degli oggetti non restituiti al legittimo proprietario o non rivenduti all’asta. Grazie a questa opportunità, i ragazzi delle scuole superiori bolognesi, hanno dato una seconda vita a questi oggetti, che possono così rivivere in brevi racconti.
Il racconto integrale di Serena Ricci (4B Liceo Artistico F. Arcangeli)
A volte, di notte, ricordando d’aver vissuto
Tempo fa, per viaggiare all’estero, davano piccoli tagliandi di carta con bolli colorati, da incollare sulle valigie e mostrare orgogliosamente, come per dire “Io ho vissuto”.
Forse era questo il loro vero scopo: mostrare agli altri ciò che s’era fatto. O servivano per ricordare? A volte è davvero difficile non dimenticare tutti i viaggi affrontati. Stanno lì, prendono polvere e lentamente sbiadiscono. Le parole sui tagliandi si fanno confuse, i bordi si staccano. A volte ci si scorda perfino dove si è stati.
Io non voglio farlo. Non voglio lasciarli andare. Li voglio addosso, come un vestito. Perché nasconderli? Perché vergognarmene? Perché dimenticarli? Sono ciò che mi rende chi sono. Ciò che mi rende sensibile, bella, delicata.
Sono ciò che mi rende una persona.
Tanti tagliandi, tante candele, tanti cuori spezzati.
A volte, di notte, li sento battere. Inizia uno e poi tutti gli altri lo seguono. Piano piano, uno alla volta, si accendono e creano un’orchestra un po’ scadente. Fanno sembrare il loro battito una sinfonia stanca suonata da vecchi musicisti con gli acciacchi. A me pare facciano un gran baccano, più del necessario.
Vorrei dir loro: “Fate piano! Più piano! Io vi sento comunque!”.
Però credo sia solo la mia immaginazione. Chi vuoi che senta i lamenti di tanti cuori feriti?
Vecchi, inutili, cuori feriti. A volte, di notte, sembrano tanti piccoli pezzi di vetro che cadono a terra. E quando inizia uno, anche gli altri si uniscono, per timore di essere ignorati, di essere
meno importanti. Mi alzo e li ascolto, pazientemente. Ascolto le loro lacrime a cascata. I loro lamenti soffocati. Ecco ciò di cui hanno davvero bisogno: essere ascoltati.
Come tutti.
Sembrerà strano, ma noi non abbiamo un cuore solo. Ovviamente abbiamo un organo chiamato cuore che pompa sangue. Ma diciamocelo: quello lì non ha poi tutta ’sta importanza. No, io non parlo di quello. Io mi riferisco a quella piccola… come definirla? Luce? Quella lucina che sentiamo brillarci nel mezzo del petto e che diventa fuoco ardente ogni volta che ci emozioniamo. Ecco, quello è il nostro cuore. E no, non ne abbiamo solo uno, non uno solo per tutta la vita. Il nostro cuore è proprio una luce, una candela, che vacilla, si affievolisce o si spegne. O si rompe. Di solito diciamo così: “Mi ha spezzato il cuore”. Ma è più corretto “lo ha spento”. Ci ha soffiato sopra e la fiamma è scomparsa. Le persone tendono a buttare via i loro
cuori spenti, perché guardarli, e ascoltarli, fa male.
Non io. Io li ho tenuti tutti. E sono molti. Ogni volta che la candela nel mio petto si spegneva,
prendevo la cera ancora rimasta e la mettevo in un angolo. Per questo motivo li sento ancora battere, ogni tanto, quando pensano di potersi riaccendere da soli. Sono parecchio ostinati, i cuori spezzati: pensano di potersi aggiustare. A volte capita, ma non molto spesso. Di solito, nel provare a riparare un cuore rotto, ci si taglia.
L’altra notte ero sdraiata, al buio, e nell’angolo dove tengo tutte quelle vecchie candele ho sentito una piccola fiammella, flebile. Si è spenta quasi subito. Le altre poi l’hanno imitata. Chiedevano ascolto. Chiedevano di essere ricordate. Mi sono seduta sul bordo del letto e ho chiuso gli occhi, ripensando a tutti quei fuochi. Una volta erano dirompenti, li sentivo bruciare
nel petto e animarmi. Ora sono solo… pesanti. Pesanti pezzi di cera.
Cosa fare? Come zittirli senza dimenticarli? Come mantenere tutti quei ricordi senza che i rispettivi viaggi ne siano distorti? Li ho scritti. Tutti. Mi sono seduta alla scrivania e su pezzi di carta consumata, giallognola, ho riversato ogni mio viaggio.
Appuntandomelo addosso, con spilletti da sarta.
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