Si è dovuta aspettare la fine del Novecento perché si cominciasse a capire che uomini e donne non differiscono solo per il sistema riproduttivo ma, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano o possono presentare sintomi, decorso delle malattie e risposte alle terapie molto diversi tra di loro, quindi non possono assumere i medesimi farmaci con la stessa sicurezza. Il cuore della donna si ammala diversamente dal cuore dell’uomo, i polmoni hanno una minor capacità respiratoria e il cervello produce sostanze in quantità differenti. Così come il bambino non è un piccolo adulto, così la donna non è una copia dell’uomo o un uomo meno pesante.
Sin dalle origini, la medicina ha sempre avuto un’impostazione androcentrica, la ricerca sulle principali patologie è stata condotta per lo più su soggetti di sesso maschile, estendendo i risultati alle donne, ignorando la diversità biologica, e la “medicina delle donne” a lungo è stata sinonimo di pediatria e ostetricia, relegata alle patologie esclusivamente femminili che colpiscono mammelle, ovaie e utero, la ‘zona bikini’.
Il tema delle differenze di genere, in medicina come nella sperimentazione farmacologica e nella ricerca, è storia recente. È La cardiologa americana Bernardine Patricia Healy nel 1991, la prima a parlare di questione femminile in medicina, evidenziando come a parità di condizione le donne sono meno ospedalizzate e vengono sottoposte a interventi diagnostici e terapeutici ridotti rispetto agli uomini (è la “Sindrome di Yentl”, dal nome dell’eroina di un romanzo di I.B. Singer). Ancora oggi si pensa che le malattie cardiovascolari siano prevalentemente maschili, mentre l’infarto è la prima causa di morte delle donne (48% contro il 38% dell’uomo).
La medicina di genere o genere-specifica ha come obiettivo quello di comprendere i meccanismi attraverso i quali le differenze legate al genere agiscono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie, nonché sulle terapie. Non è una disciplina specifica ma piuttosto un approccio metodologico trasversale che mira a studiare l’influenza del sesso sulle malattie finalizzata a curare ciascun paziente in modo mirato, garantendo così a ciascun individuo l’appropriatezza terapeutica. Così la farmacologia di genere o genere-specifica studia le differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci in funzione del genere.
Il libro di Silvia De Francia, con la curatela di Cinzia Ballesio offre una ricostruzione storica, approfondendo aspetti sociologici, culturali, giuridici e scientifici (prefazione di Alessandra Carè, contributi di Cinzia Ballesio, Sergio Foà e Tullia Penna).
Peraltro, l’Italia risulta essere all’avanguardia in questo campo, si è dotata di una legge (la 3/2018) inserendo il parametro genere sia nella sperimentazione farmacologica e clinica dei farmaci sia nella definizione dei percorsi diagnostico-terapeutici, di un Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere e di un Centro nazionale di riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità. Delle cinque università europee che hanno istituito un percorso formativo dedicato alla medicina di genere, due sono italiane (Firenze e Padova).
Il volume si conclude con un’ampia galleria di ritratti di donne, spesso sconosciute: protagoniste passate e presenti della storia della medicina.
A cominciare dalle cosiddette Mulieres Salernitanae. Tra il X e l’XI secolo a Salerno nasceva la prima scuola di medicina dell’Occidente, il cui statuto non precludeva l’esercizio della medicina alle donne. E molte donne studieranno e insegneranno in quella che è stata la più importante istituzione medica dell’Europa medioevale (attiva fino al 1811, quando Gioacchino Murat la soppresse). Mediche e chirurghe come Sichelgaita di Salerno (XI secolo), principessa longobarda moglie di Roberto il Guiscardo, medica, erborista e forse avvelenatrice; la famosa Trotula De Ruggiero (XI secolo), ostetrica e scienziata a cui è stata intitolata una formazione geologica sulla superficie di Venere (la Corona Trotula), autrice di trattati tra i quali il Trotula Maior sulle malattie delle donne e il Trotula Minor sulla bellezza delle donne; Abella (XIV secolo); Mercuriade (XIV secolo), che scrisse sulla peste, la cura delle ferite e gli unguenti; Rebecca Guarna (XVI secolo), che studiò le febbri, le urine e l’embrione; fino a Costanza Calenda, la prima donna a conseguire nel 1422 il titolo ufficiale di dottora in Medicina a Napoli.
E poi la monaca benedettina Ildegarda di Bingen, scienziata e studiosa, musicista, teologa, consigliera di Papi e Imperatori, una delle guide più influenti del cristianesimo medioevale (proclamata santa nel 2012), autrice di trattati che raccolgono e rielaborano il sapere medico e botanico del suo tempo; Anna Morandi Manzolini la prima anatomista della storia moderna che nella metà del Settecento realizzava sorprendenti modelli anatomici in cera; Ernestina Puritz-Manassé Paper, ebrea originaria di Odessa, che si laurea a Firenze nel 1877, la prima laureata del nuovo Stato unitario precedendo di poco la bolognese Maria Farnè Velleda, la prima donna a laurearsi in medicina all’università di Torino nel 1878 che diventerà l’archiatra ovvero la medica personale della Regina Margherita; Adelasia Cocco, laureata a Sassari nel 1913, il primo medico condotto donna nonché la prima donna a ottenere la patente di guida in Sardegna; la “scout” Giovannella Baggio che ha fondato a Padova il primo Centro studi su Salute e Medicina di Genere in Italia e tante altre…Nel 1947 la biochimica ceca naturalizzata americana Gerty Theresa Radnitz Cori è la prima donna alla quale viene assegnato il Premio Nobel per la medicina (seguiranno altre undici scienziate, tra cui l’italiana Rita Levi Montalcini nel 1986).
Nel Novecento, nonostante stereotipi e luoghi comuni, le donne in medicina sono diventate sempre di più, contribuendo al progresso della scienza medica e svolgendo un’opera fondamentale per la diffusione di conoscenze che le hanno portate a una maggiore consapevolezza del loro corpo e al controllo dell’attività riproduttiva.
Molta strada è ancora da fare, a partire dalla divulgazione delle informazioni, oggi scarsa e molto specialistica: un percorso al quale questo libro vuole dare il suo contributo.
Uomo, donna, transgender. La medicina e il diritto si stanno adeguando anche se lentamente per garantire a ciascuno un trattamento equo. Il giusto approccio di studio in ogni disciplina non è quello incardinato sul concetto di uguaglianza ma su quello di equità. E finché continueremo a basare le nostre riflessioni su un generico concetto di uguaglianza fine a se stesso, continueremo a commettere errori grossolani.
Le Autrici
Silvia De Francia, classe 1976, fa la farmacologa clinica, insegna all’Università di Torino e fa ricerca. Giornalista pubblicista dal 2005, è divulgatrice scientifica sui temi della farmacologia e medicina di genere. Questo è il suo primo libro.
Cinzia Ballesio, nata nel 1956, laureata in Lettere a indirizzo storico, ha insegnato nella scuola media inferiore e superiore ed è guida turistica abilitata. Per Neos Edizioni ha pubblicato nel 2017 “Le Figlie dei Militari”, e nel 2019, insieme a Giovanna Giordano, “L’informatica al femminile”. E’ Tra le fondatrici del gruppo torinese di SeNonOraQuando?,
Il volume fa parte della sezione della collana “Storia e memorie” dedicata alla storia delle donne, curata da Cinzia Ballesio.
“LA MEDICINA DELLE DIFFERENZE”
Storie di donne uomini e discriminazioni
di Silvia DE FRANCIA, a cura di Cinzia BALLESIO
www.neosedizioni.it
Via Beaulard 31, 10139 Torino, Info: 0117413179
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