BOLOGNA – l Consigli comunale e metropolitano di Bologna si sono riuniti oggi, lunedì 8 febbraio, in seduta solenne e congiunta in occasione del Giorno del Ricordo.
Di seguito l’intervento del vicepresidente Marco Piazza.
“Saluto il signor Sindaco del Comune di Bologna e della Città metropolitana Virginio Merola, la vicesindaca della Città metropolitana Maria Raffaella Ferri, gli assessori presenti, i consiglieri comunali e metropolitani, la regione Emilia-Romagna rappresentata dal consigliere regionale Marco Lisei, tutte le autorità presenti e in particolare un caloroso saluto a tutti gli studenti e ai loro professori che in numerose scuole stanno seguendo questo Consiglio comunale solenne che si tiene in forma congiunta con il consiglio della città metropolitana di Bologna per celebrare il giorno del ricordo.
Il giorno del Ricordo è stato istituito con la legge 92 del 30 marzo 2004 con cui il Parlamento italiano vuole fare memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale. In base a questa legge (leggo dal primo comma): ‘la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriano, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale’.
Quest’anno il Consiglio solenne ha ricevuto il patrocinio dall’Ufficio scolastico regionale e pertanto ringrazio e saluto il direttore generale Stefano Versari e Giuseppe Antonio Panzardi qui presenti. Questo mi fa molto piacere perché il coinvolgimento delle scuole, oltre a essere esplicitamente previsto dalla legge 92, è qualcosa a cui teniamo molto. Infatti per troppi anni dai libri di storia delle scuole mancavano delle pagine importanti. Quando sono andato a scuola io per esempio, non si sapeva nulla. Mancava un pezzo fondamentale per comprendere il vero epilogo della seconda guerra mondiale e le sue conseguenze sull’Italia e sugli italiani. Ma necessario anche per capire gli equilibri internazionali dei decenni successivi. Come un romanzo censurato di un capitolo fondamentale. Quindi doveroso il forte coinvolgimento delle scuole.
Prima di presentarvi i nostri ospiti e relatori a cui tra poco passerò la parola, vi introduco il tema e provo a fare un sommario bilancio degli ultimi cinque anni. Quello di oggi infatti è l’ultimo Consiglio solenne che celebra questo Consiglio comunale prima delle prossime elezioni amministrative.
Prima di tutto non abbiamo mai considerato il Ricordo come qualcosa che si celebra una volta l’anno con un isolato Consiglio solenne, ma con la presidente Guidone siamo consapevoli che il lavoro deve essere costante e il Consiglio solenne è e deve essere solo una delle iniziative con cui si cerca di recuperare troppi anni di oblio e di silenzio.
E per questo devo rivolgere un importante ringraziamento, all’ANVGD, l’associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia sezione di Bologna con cui in questi anni abbiamo avuto una collaborazione molto proficua. L’organizzazione dei Consigli comunali solenni, sempre di grande spessore come quello di oggi, sono solo una parte del lavoro come vi dicevo.
A Bologna abbiamo la fortuna di avere una sezione molto attiva di Anvgd e pertanto abbiamo collaborato e sostenuto le tante iniziative promosse dall’associazione durante tutto l’anno. Iniziative di divulgazione, nelle scuole, seminari, formazione dei docenti, viaggio nelle terre perse dall’Italia. Delle tante cose fatte in questi cinque anni, ricordo per tutte la pubblicazione di un’importante antologia dal titolo “Dove andare, dove tornare” curata dalle ricercatrici Giusy Criscione e Patrizia Hansen, antologia fortemente voluta da me e dalla presidente Guidone realizzata in collaborazione con il comune di San Lazzaro. L’antologia contiene un ampio campione della letteratura Italiana che è nata e si è sviluppata in terre che oggi non sono più italiane. Ma seppure private del luogo natale, quella cultura e quelle tradizioni resteranno per sempre italiane. Pubblicando l’antologia abbiamo voluto contribuire a preservarle. Perché siamo convinti che sia importante ricordare le vicende e la storia, ma che sia altresì importante salvare la cultura e le tradizioni.
L’associazione ha recentemente rinnovato i suoi organi. Pertanto saluto e ringrazio il presidente uscente Marino Segnan che per molti anni ha presieduto l’associazione con grandissima dedizione e impegno e tra poco avrò il piacere di dare la parola alla neo presidente Chiara Sirk alla quale faccio i migliori auguri per l’importante incarico che ha assunto nella certezza che anche con lei continuerà una collaborazione che tanto ha contribuito a diffondere la necessaria conoscenza di quella difficile parte della storia troppo a lungo taciuta storia che oggi finalmente possiamo e dobbiamo ricordare a approfondire.
In questi anni ci siamo chiesti perché ricordare. Avrei avuto piacere di parlarne con gli studenti come l’anno scorso, ma purtroppo oggi non è possibile.
In questi anni ci siamo chiesti: perché ricordare?
Sicuramente perché la storia ci permette di capire il presente fornendoci le necessarie chiavi di lettura.
Ma ricordare anche per capire come si sia arrivati a una tragedia come questa per evitare che si ripeta in futuro. E questo è un punto molto importante su cui ci siamo soffermati.
E per avere alcune risposte, non basta guardare gli anni della guerra, ma dobbiamo partire dalla caduta di Venezia allorché Francesco Giuseppe, per governare un impero così vasto attuò la strategia del divide et impera, e cioè mise le une contro le altre persone che avevano vissuto insieme per secoli pacificamente fino ad allora. Creò e fece percepire differenze e divisioni nel vicino di casa che si era frequentato per generazioni senza alcun problema. In particolare, in quelle terre, dove gli italiani erano la maggioranza e andavano quindi tenuti a bada, privilegiò la parte slava.
Questi germi di differenze, instillati durante l’Impero austro-ungarico, vennero esasperati dalla follia del fascismo che aveva fatto del nazionalismo una bandiera e poi ancora dal sanguinario nazionalismo comunista di Tito.
Quindi tra le varie cause che la storia ci dice che l’esaltazione delle differenze, fu una di quelle che portarono a migliaia di persone brutalmente assassinate solo per la colpa di essere italiani e all’esodo di centinaia di migliaia di persone.
E poi in questi anni ci siamo chiesti perché decenni di silenzio prima di poter ricordare?
Perché è stato tolto quel capitolo fondamentale dai libri? Oggi possiamo ragionarci e dirci per esempio che l’Italia non voleva vedere il prezzo pagato dall’Italia e ammettere la sua sconfitta. O dirci ancora che non si voleva importunare il dittatore comunista Tito, un capo di stato non allineato al blocco sovietico.
Insomma i motivi del silenzio sono molteplici, ma di certo resta che la sconfitta dell’Italia, alcuni nostri connazionali l’hanno pagata più di altri con l’aggravante del silenzio e della condanna all’oblio.
E quando una sofferenza così immane è negata, sconosciuta e obbligata al silenzio è molto più dolorosa e insopportabile.
E poi in questi anni ci siamo chiesti ancora perché dopo decenni perché dopo decenni ci è voluta una legge per ricordare e conoscere? Quanti argomenti dei libri di storia sono lì in forza di una legge? Praticamente nessun altro.
Eppure in questo caso c’è voluta una legge per cambiare le cose. E anche su questa domanda c’è tantissimo da ragionare, partendo dagli eccidi delle foibe migliaia di italiani uccisi con la falsa accusa di essere fascisti o collaborazionisti ma la realtà era solo l’interesse su quelle terre, una pulizia etnica che Tito attuava per poter poi rivendicare, in sede di conferenza di pace, quelle terre come slave; Anche a Bologna gli effetti di questa falsa informazione si videro il 18 febbraio 1947 quando si fermò nella stazione di Bologna un treno che trasportava gli esuli che erano sbarcati in Italia ad Ancona due giorni prima. Avevano abbandonato tutto, la casa, la terra, il lavoro, su quel treno c’erano anche anziani e bambini assetati. La falsa propaganda aveva bollato tutti quelli che fuggivano da quelle terre come fascisti e la famosa accoglienza e solidarietà di cui Bologna ha fatto un punto d’onore, venne drammaticamente meno.
Alcuni bolognesi impedirono alla croce rossa di portare aiuti e conforti ai loro connazionali stremati. Il prezioso latte venne persino rovesciato sulle rotaie e il treno dovette ripartire senza nessun conforto. In quei treni c’erano tutte le classi sociali, operai, contadini, impiegati, commercianti, tra questi anche partigiani che avevano combattuto affianco agli stessi jugoslavi di Tito: era un popolo costretto all’esilio non per motivi di ceto o di appartenenza politica, ma per quella follia nazionalista di cui abbiamo detto. Bologna seppe poi ravvedersi e recuperare la sua tradizionale accoglienza, ma questa storia ci dice come questa vicenda fosse affiancata da una buona dose di pregiudizio che ha portato alla necessità di una legge.
Oggi, dopo anni di studi, i pregiudizi e la negazione sono un esercizio molto forzato che deve ignorare evidenze e dati di fatto. Oggi possiamo vedere gli effetti di quella legge sulla storia.
Infine, l’ultima domanda che pongo oggi: perché ricordare nelle sedi istituzionali come questa?
Perché oltre alla storia, ai fatti io credo che abbiamo il dovere di restituire dignità ai nostri connazionali di quelle terre che hanno vissuto questa tragedia mista all’oblio.
Italiani, tantissimi, forse 300-350 mila, che hanno dovuto abbandonare tutto, case, terre, vita, tradizioni e riversarsi come esuli in un’Italia in ginocchio che li sparpagliò in campi profughi in 120 diverse località provocando una ulteriore tragedia nella tragedia, dilaniando famiglie e separando affetti e parenti, in campi profughi che erano casermoni immensi. Oggi noi parliamo di distanza interpersonale, dobbiamo stare a un metro e mezzo. Nei campi profughi invece le famiglie erano divise solo da lenzuoli appesi a dei fili, dove si moriva di freddo, ma anche per suicidio dovuto a depressione, perché la gente non riusciva a sopportare le condizioni di vita del campo profughi, abituati come erano a lavorare e ed essere autosufficienti. Lì trovavano solo assistenzialismo e depressione.
Dobbiamo restituire dignità a questa tragedia che per troppo tempo questa gente ha portato dentro di sé pagando un doppio prezzo: quello del silenzio che calava sulla loro storia, e che impediva loro di condividere almeno il dolore.
Insomma sono tante le motivazioni che ci portano qui. Che ci portano al 10 febbraio. Perché il 10 febbraio? Perché il 10 febbraio 1947, 74 anni fa, venne firmato il trattato di Parigi, con cui si imponeva all’Italia di rinunciare alle città di Fiume, Zara e di quasi tutta l’Istria mettendo nero su bianco la nostra sconfitta.
Dal giorno dopo, l’11 febbraio gli eccidi delle foibe cessano, viene meno il vero motivo di quelle morti ora che Tito aveva ottenuto le terre che voleva. Ma dal 10 febbraio l’esodo dei nostri connazionali italiani di quelle terre assume dimensioni colossali.
Sono già stato troppo lungo e mi fermo, ma ci tenevo a dare conto del tanto fatto in questi cinque anni.
Mi restano da introdurre i nostri relatori che abbiamo l’onore di ospitare e lo faccio con emozione perché tenevo moltissimo alla loro presenza e sono felice di essere riuscito ad averli qui con noi oggi, nell’ultimo Consiglio solenne del Ricordo organizzato da questo ufficio di presidenza. Non potevo sperare in conclusione migliore. E per questo devo ringraziare ancora una volta presidente e vicepresidente di Anvgd Chiara Sirk e Anna Decastello e Rossella Terreni, insegnante dell’istituto Archimede di San Giovanni in Persiceto che hanno contribuito non poco alla giornata di oggi.
Il primo dei nostri relatori è Piero Delbello, direttore I.R.C.I. (Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata) che ho avuto la fortuna di ascoltare quando andai a Trieste con uno dei viaggi organizzati da Anvgd a visitare il famoso magazzino 18, di cui Delbello è responsabile.
Delbello non è solo un profondo conoscitore delle vicende sia storiche e umane del confine orientale, ma è anche un formidabile oratore in grado di spiegare emozionando. Di quelli che si ascolterebbero per ore senza stancarsi. E infatti accadde proprio così con Simone Cristicchi, il famoso cantautore vincitore di Sanremo nel 2007, che quando visitò a sua volta il Magazzino 18 ascoltò in silenzio Delbello per varie ore e ne trasse ispirazione per uno spettacolo teatrale di grandissimo successo che gli valse persino la cittadinanza onoraria di Trieste nel 2016.
La seconda relatrice non è meno preziosa. Si tratta di Fiore Filippaz esule istriana classe 1947 che ha vissuto in un campo profughi, quello di Padriciano. Nei campi qualcuno ci restava per giorni, qualcuno per mesi, altri, per anni. Fiore Filippaz ci è rimasta per 12 anni. Per introdurla uso una sua frase che mi colpì moltissimo quando ebbi la fortuna di ascoltarla: ‘Dopo quello che ho vissuto, non ho mai trovato il coraggio di avere dei figli per paura che accadesse a loro quello che avevo vissuto io’. Oggi avremo la grande opportunità sentire la sua diretta testimonianza”.