“È stata una bellissima esperienza” racconta il prof. Santo Premoli del Giordani “che ha fatto anche da collante per la classe. Un’occasione per occuparsi di formazione umana e non solo didattica, per stimolare al pensiero, senza prendere libri o quaderni. All’inizio i ragazzi erano in difficoltà nell’individuare il proprio mito, non sapevano se parlare di eroi o modelli di vita, se riferirsi ai miti classici antichi. Poi in loro è scattato qualcosa: hanno cominciato ad indicare persone vicine a loro, da ammirare per il senso di sacrificio o per altro. E poi hanno capito che la riflessione sul mito nasceva anche da questo, dalla necessità di fornire risposte al nostro presente, attraverso una narrazione. Oggi siamo in un periodo iperscientifico, estremamente complesso, ma questa complessità ha bisogno di risposte che possiamo trovare solo andando in profondità. Il teatro a scuola ci aiuta in questo: ci dà ad esempio la possibilità di comprendere l’accoglienza, di contemplare il relativismo culturale, di considerare preziosa la diversità”.
Anche la prof.ssa Maria Teresa Renzulli, referente del liceo Toschi ha confermato la viva partecipazione da parte degli studenti e la loro sempre più entusiastica apertura al confronto: “abbiamo presentato il progetto alla classe senza dare troppi dettagli sulla modalità di lavoro perché volevamo che i ragazzi scoprissero e indagassero il tema del mito in modo spontaneo. Così, soprattutto nel primo incontro, i partecipanti hanno cominciato a raccontare esperienze personali, ricordi dell’infanzia, aspetti più intimi. Sentivano il bisogno di esprimere le loro emozioni, di mettere in risalto la sfera affettiva e per aiutarli in questa condivisione li abbiamo disposti a cerchio. Esperienze di relazione come questa sono importantissime, rappresentano un allenamento all’ascolto e al dialogo. Ci aiutano poi a recuperare un’educazione teatrale che purtroppo molto spesso è assente nelle famiglie”. Parole ribadite anche dalla prof.ssa Serena Ballestri, sempre del Liceo Toschi: “dopo l’iniziale diffidenza, i ragazzi hanno iniziato ad aprirsi, dimostrando di avere un gran bisogno di comunicare e di parlare di cose vicine. È stato bello poter loro dire che non dovevano avere timore di un giudizio o di un voto, ma che potevano esprimere liberamente la loro idea o raccontare la loro esperienza. Ora hanno tanta curiosità di vedere il monologo in scena e sono molto emozionati al pensiero di poter riascoltare le loro stesse parole”.
L’indagine iniziale sul mito ha così permesso ai partecipanti d’innescare un rapporto costruttivo, fondato sull’ascolto dell’altro, sull’empatia e la reciprocità. Un percorso evidenziato anche da Egle Pucci, referente di Forma Futuro (dove il laboratorio è stato tenuto da Bacchini insieme all’attore Savino Paparella), che ha riscontrato nei ragazzi “un desiderio crescente di mettersi in gioco, d’intervenire. Un dialogo sincero che ha creato subito armonia nella classe. Sono sorpresi e felici di sapere che presto potranno riconoscersi nei monologhi e quindi essere protagonisti per una volta sul palco, in un contesto completamente diverso”.
Molto simile e altrettanto positiva l’esperienza osservata nei Centri Giovani, come spiega uno dei referenti Fabio Carima: “il progetto ha consentito ai ragazzi e alle ragazze di parlare della loro vita, delle loro aspirazioni e dei loro ideali. Mi ha colpito molto il fatto che tra alcuni di loro si creasse un bel dialogo anche durante lo spostamento da un Centro all’altro. Molti di loro si sono conosciuti in questa occasione e sono diventati amici. È stato anche confortante vedere come il laboratorio portasse alla luce le normali dinamiche giovanili, le relazioni e le difficoltà che tutti noi abbiamo attraversato a quell’età. Non si è parlato di guerre, di pandemia, di crisi, ma di adolescenza, di fragilità giovanile, di aspettative future. Ora l’attesa è tutta per i monologhi.”
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