Di seguito l’intervento del sindaco di Bologna e Città metropolitana Matteo Lepore.
“Grazie, Presidente.
Buongiorno a tutti i consiglieri e le consigliere, gli ospiti, le autorità presenti. Mi scuso innanzitutto per il ritardo, ma qui sotto sono stato fermato dalle lavoratrici della Perla, che sono tuttora in piazza con le tante persone che stanno partecipando a questa Giornata internazionale della donna, che come sempre vede piazza Maggiore piena di incontri, di banchetti, di gazebo, laboratori con le cittadine e i cittadini per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su tante questioni importanti.
Voglio partire da loro, anche perché abbiamo bisogno che su questo, sul caso della Perla, ci sia un’attenzione da parte di tutti noi. L’8 marzo è una data che è stata segnata nella storia dell’umanità a partire dal lavoro, e credo che attorno al lavoro noi dobbiamo ogni 8 marzo riflettere. Il caso della Perla è un caso emblematico di come le imprese del nostro territorio abbiano dato un contributo straordinario al nostro Paese, in particolare, le lavoratrici della Perla hanno dato un contributo straordinario al nostro Paese, ed è giusto che il nostro Paese restituisca loro quello che hanno fatto. Non si può che, quindi, portare avanti un’iniziativa di sostegno, ma concreto. Credo innanzitutto che occorra sostenere la proposta che in queste ore anche l’assessore Vincenzo Colla ha rilanciato, di acquisire il marchio della Perla come Governo italiano. In parte il Governo ha detto di essere disponibile a farlo, credo che ora si tratti di mettere in campo questa azione. Il marchio della Perla ha un valore per il territorio, per le mani che l’hanno cucito e che l’hanno reso famoso nel mondo. Non sono i fondi finanziari che hanno reso la Perla famosa nel mondo, sono le lavoratrici di Bologna e a loro credo dobbiamo dare il nostro massimo sostegno.
Voglio anche dire che il decreto per la cassa integrazione è stato approvato, ma adesso occorre sbloccare il finanziamento della cassa integrazione e anche pagare gli stipendi a queste donne, perché sono mesi che non portano a casa un euro. Quindi anche su questo oggi ho scritto una lettera ai ministri competenti perché si solleciti la procedura.
Prima di venire qui mi sono recato al Modernissimo, dove abbiamo consegnato una Turrita d’argento a Elda Ferri, una delle poche donne produttrici del cinema italiano. Una storia molto importante. Nel 1977 ha fondato la Jean Vigo Italia, casa di produzione che ha dato vita ad alcuni dei film più belli della storia del nostro cinema. Di origine bolognese, dagli anni Settanta vive a Roma, è una personalità importante a livello nazionale e internazionale per quello che ha realizzato. Il film più famoso ovviamente è “La vita è bella”, di Roberto Benigni, che ha vinto l’Oscar nel 1999. Un grande successo in tutto il mondo, che ha rappresentato la voce dell’Italia e la voce del cinema italiano. Il cinema italiano ha saputo da sempre dare messaggi culturali e politici, non solo di costume. Ha trattato argomenti assolutamente centrali nella storia dell’Occidente e non solo. Credo che “La vita è bella” abbia rappresentato sicuramente uno di questi esempi, non solo quella notte quando Roberto Benigni, ci ricordiamo tutte le immagini, saltando sulle poltrone degli Studios di Los Angeles ha ricevuto questo straordinario premio, ma dobbiamo sapere che dietro a questo premio c’era un’imprenditrice, una produttrice nata nella nostra città, cresciuta anche nella collaborazione con le nostre istituzioni, in particolare con il Sindaco e presidente della Regione, Fanti, e tantissime altre attività, culturali e politiche, che nella nostra città l’hanno vista crescere. Sono tantissimi i film che l’hanno vista produrre: da “Maledetti vi amerò” con il debutto di Marco Tullio Giordana, a “Le chiavi di casa” di Gianni Amelio, “I demoni di San Pietroburgo” di Giuliano Montalto, “Il peccato – Il furore di Michelangelo”, con Andrey Konchalovskiy, e tantissimi altri. Oggi l’abbiamo incontrata e le abbiamo consegnato questa Turrita. Era presente con lei anche il regista Roberto Faenza e tantissimi altri attori, attrici, colleghe e colleghi. Sembra quasi uno scoop, nel periodo del MeToo, premiare una produttrice cinematografica. Noi abbiamo l’onore come città di averla come nostra cittadina. È sicuramente il MeToo uno dei fenomeni degli ultimi anni, che ha fatto conoscere alle nuove generazioni la causa delle donne, le questioni di genere, la violenza sui luoghi di lavoro. Credo che l’altra faccia della medaglia, che l’Italia e Bologna può raccontare, è quella di una imprenditrice che ha saputo fare delle proprie battaglie per i diritti un esempio di come si può costruire una carriera, di come si può far crescere un Paese. Perché l’8 marzo, appunto, come dicevo, è una giornata di mobilitazione, è una giornata di sciopero, è una giornata di impegno, di costruzione di quelle che sono e devono essere le nostre politiche quotidiane come Amministrazione comunale, come Città metropolitana, come politica che deve essere all’altezza di questa giornata. Una giornata nella quale le donne scendono in piazza, si astengono in gran parte dal lavoro, per rivendicare i diritti delle donne, ma i diritti di tutta la comunità e della nostra cittadinanza.
In particolare, in questi giorni abbiamo presentato un progetto molto importante, un protocollo di intesa che abbiamo sottoscritto con tutte le forze sindacali, imprenditoriali, come Città metropolitana, insieme nuovamente all’Arcidiocesi di Bologna, proprio per mettere a disposizione l’iniziativa “Insieme per il lavoro” alle donne vittime di violenza. La voglio citare questa iniziativa, che segue il nostro Piano per l’Uguaglianza e il protocollo che abbiamo sottoscritto già alcuni mesi fa proprio per l’autonomia abitativa delle donne, perché credo sia un esempio di come Bologna, insieme a oltre 250 imprese, ha saputo in questi anni inserire nei luoghi di lavoro più di 2.500 persone. E oggi parte da questo progetto, da questa iniziativa che già esiste ed è concreta, per mettersi a disposizione di chi ha subito violenza e deve rientrare nella propria vita quotidiana in piena autonomia e tranquillità. Il lavoro e la casa, oggetto del protocollo precedente, sono infatti due pilastri fondamentali della vita di ogni persona; sono i pilastri fondamentali dell’autonomia quotidiana e purtroppo sono anche quelle leve, gli strumenti che gli uomini usano per costringere le donne a rimanere succubi di una vita familiare, di un contesto affettivo. Il lavoro e la casa sono le due preoccupazioni principali di tutti noi, di tutte le persone che vivono, ma sono la preoccupazione principale innanzitutto di chi subisce violenza, che sia una violenza economica, psicologica, che sia una violenza fisica o tutte queste violenze assieme. Il lavoro e la casa sono quella missione che ognuno di noi, e ogni cittadino e cittadina ricerca nella vita. Si lavora e si cerca una casa, si abbandona a volte la propria terra d’origine per ricercare il lavoro e la casa, e sono sempre il lavoro e la casa quelle situazioni nelle quali gli uomini continuano a mantenere in schiavitù o recluse le donne.
In questa giornata di mobilitazione noi dobbiamo dirci che è importante alzare la voce, e stiamo sentendo di là, del signore che suona la cornamusa da tre giorni ininterrottamente, ovviamente i suoni della piazza e le voci che vengono dallo sciopero, ma noi qui abbiamo il compito non solo di proclamare e di alzare la voce: noi abbiamo il compito di mettere in campo soluzioni e fatti concreti, di dare delle risposte a chi si batte per i propri diritti. E i numeri che oggi ci sono stati raccontati dalle relatrici, che voglio davvero ringraziare per la loro presenza, per la professionalità con cui portano avanti il loro lavoro nel loro campo, sono numeri che raccontano come questo territorio ha saputo negli anni passati essere all’altezza di questa sfida o, comunque, fare meglio di altri territori. Se i dati che abbiamo oggi letto, sono questi, è perché nei decenni precedenti abbiamo avuto un patrimonio di azioni, di scelte, alle quali hanno sempre preceduto battaglie. Mi ricordo, come se fosse ieri, infatti, quando entrai in Consiglio di quartiere, qui c’è il già Sindaco Virginio Merola, nonché già presidente di Quartiere Savena, la storia di Medea Zanarini, che ci raccontava delle battaglie da staffetta partigiana che aveva fatto per l’ospedale Maggiore. Ce lo raccontava ogni 8 marzo, quando veniva a consegnarci la mimosa nel centro civico del Quartiere Savena, anche quello già centro civico del Quartiere Savena, perché lì sorgerà non a caso una casa della comunità e l’ospedale Maggiore è stata una risposta alle battaglie delle donne che uscivano dalla seconda guerra mondiale per avere servizi sanitari all’altezza nel nostro territorio.
Le donne sono sempre scese in piazza nelle loro battaglie per i diritti di tutti, non soltanto per i propri diritti. Questo ce lo racconta la storia democratica del nostro territorio, ed è grazie a quelle battaglie che oggi noi abbiamo questi numeri, che ci permettono di avere un’ampia forza lavoro, di avere servizi diffusi in tutti i quartieri, di pensare in modo integrato alle politiche e di ragionare attorno alla salute nei luoghi di lavoro, perché abbiamo gli strumenti per poterlo fare.
Non è sempre così nel nostro Paese, non è sempre così nel resto del nostro continente o del mondo, perché le battaglie si fanno, ma chi ha gli strumenti per poter realizzare le cose per cui si fanno le battaglie, è avvantaggiato rispetto a chi questi strumenti non li ha. Credo che sia importante questo dirlo e ricordarlo oggi, 8 marzo, due giorni prima della camminata silenziosa che faremo al cimitero di Borgo Panigale, per ricordare le vittime della strage di fronte alla città di Cutro. Sarà con noi il Sindaco, il 10 di marzo, faremo una camminata silenziosa e poi una cerimonia con rito islamico di fronte alla sepoltura di quattordici corpi che abbiamo ricevuto, insieme alla comunità islamica di Bologna, ormai un anno fa. Sono in particolare bambini, donne, persone che sono fuggite dalla loro terra e che hanno trovato la morte in mare, ma hanno trovato una degna sepoltura solo nella città di Bologna, in un cimitero pubblico, dedicato alla comunità islamica. Credo che questo debba farci pensare tutti quanti su cosa significa battersi per i propri diritti, lasciare la propria casa, lasciare i propri affetti e solo in alcune terre trovare pace in fondo, perché una degna sepoltura significa trovare pace. Questo significa che possiamo fare la differenza, che lo facciamo ogni giorno, anche quando le cose sembrano irraggiungibili e credo che questo in ogni caso a volte sia molto entusiasmante, a volte tremendamente tragico, ma ci deve dare la forza per andare avanti. Perché, se qui noi svolgiamo pienamente il nostro lavoro, lo stiamo facendo perché abbiamo un grande privilegio e, allo stesso tempo, una grande responsabilità, che è quella di dare speranza e fare la differenza per la vita delle persone”.
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