PARMA – È stato pubblicato sulla rivista scientifica Trends in Cognitive Sciences un lavoro dell’Università di Parma volto a valutare l’impatto della scoperta, avvenuta 30 anni fa da parte del gruppo di ricerca guidato da Giacomo Rizzolatti, dei “neuroni specchio”. L’articolo è firmato dai docenti del Dipartimento di Medicina e Chirurgia Luca Bonini e Vittorio Gallese e dai dottorandi Cristina Rotunno ed Edoardo Arcuri
Studiando i lavori pubblicati in questi 30 anni in tutto il mondo e riconducibili direttamente ai soli primi 5 lavori sperimentali sulla scimmia riguardanti i neuroni specchio, è emerso che le ricerche derivanti da questa scoperta hanno riguardato una pluralità di ambiti, da quello motorio al linguaggio, dalla cognizione alle emozioni, costituendo, secondo gli autori, un “punto di non ritorno nelle neuroscienze sociali e affettive”. I risultati di questo studio indicano che oltre il 90% delle ricerche scaturite dalla scoperta dei neuroni specchio nella scimmia sono state effettuate su soggetti umani, con tecniche non invasive come la risonanza magnetica, tecniche comportamentali, elettroencefalografia o la stimolazione magnetica transcranica. Una parte rilevante di questi studi ha coinvolto anche pazienti, dalle persone con autismo o schizofrenia a quelle con patologie neurologiche, come ictus e malattie neurodegenerative. In anni recenti, si sta assistendo ad un proliferare di ricerche volte ad esplorare il potenziale del meccanismo “specchio” nella riabilitazione di pazienti affetti da diverse patologie del movimento, anche attraverso approcci di teleriabilitazione da remoto.
Restando nel campo delle neuroscienze, recentemente è stato finanziato per 400mila euro il progetto CIRCEM dello stesso Luca Bonini. Il finanziamento è avvenuto nell’ambito del programma FARE del MUR, Framework per l’Attrazione e il Rafforzamento delle Eccellenze per la ricerca in Italia, riservato ai vincitori di progetti ERC. CIRCEM è collegato al progetto ERC EMACTIVE, che parte dall’idea che le azioni e le emozioni osservate negli altri siano dei veri e propri “oggetti sociali”, che il cervello elaborerebbe con meccanismi simili a quelli con cui tratta altri oggetti del mondo reale.
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