“Il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista”. A partire dalle parole di Antonio Scurati, che oggi riecheggiano in tante piazze d’Italia, pongo una domanda: come può una Repubblica democratica, figlia della Costituzione scritta col sangue delle donne e degli uomini che hanno lottato per la Resistenza, non ritrovare nell’antifascismo il fondamento condiviso e irrinunciabile dello Stato italiano?
Perché è questo che si celebra, il 25 aprile: la Liberazione da un regime dittatoriale che per vent’anni ha oppresso la popolazione e soffocato ogni forma di pluralismo, usato lo squadrismo per minacciare e intimidire, internato e mandato a morte oppositori e voci dissenzienti, perpetrato stragi di brutalità indicibile e promulgato senza vergogna le leggi razziali, facendo proprie – nell’ideologia e nell’efferatezza di rappresaglie e rastrellamenti – le aberrazioni del nazismo.
“Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?”, scrive ancora Scurati. Ebbene, io penso che lo stia chiedendo non a una fazione, ma a ciascuno di noi cittadini di un’Italia libera, che credono nei diritti inalienabili della persona e nel valore universale della pace. In quell’interrogativo, io leggo il bisogno di non dimenticare mai di quale altissimo sacrificio questi diritti siano il frutto e il dovere di rendere omaggio, a chi per essi ha dato la vita, non solo riaffermandone pubblicamente la consapevolezza, ma sentendone il richiamo nel nostro senso civico, nelle scelte etiche e morali che compiamo ogni giorno.
Perché di quella storia, volenti o nolenti, siamo tutti eredi nel momento in cui ne approfondiamo le pieghe, ne soppesiamo la gravità e le conseguenze, ne piangiamo i morti. L’antifascismo non è una corrente, non è un’opinione; è il respiro, l’essenza, il battito della nostra democrazia e del nostro sistema politico, che senza queste radici non avrebbe avuto linfa e nutrimento per crescere.
Lo ribadiamo oggi nel nome di Giacomo Matteotti, assassinato dalla polizia segreta fascista il 10 giugno 1924, dei suoi tre figli e di sua moglie Velia Titta, che invano chiese a Mussolini che ne fossero restituite le spoglie. Nel nome del comandante Agostino Covati e di Pino Fumi, partigiano della Brigata Giustizia e Libertà, che un anno fa era qui con noi in questa piazza accanto a Renato Cravedi e Ugo Magnaschi; nel nome di Rambalda, giovane sposa staffetta sui nostri monti con una bimba in braccio.
L’antifascismo ha il volto di ciascuno di loro.
Nel nome di quella Medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza di cui Piacenza è orgogliosa, che il 25 aprile brilla nei riverberi di una memoria che non si cancella. E che nessuno può mettere a tacere. Viva l’Italia libera e democratica, viva la Resistenza.
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