BOLOGNA – Di seguito il testo della comunicazione letta questa mattina in Piazza Medaglie d’Oro dal presidente Paolo Bolognesi a nome dell’Associazione famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
“2 Agosto 1980. Stazione Centrale di Bologna. Ore 10.25.
Nella sala d’aspetto di seconda classe, affollata di viaggiatori, una bomba venne fatta esplodere, causando la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200.
Chi aveva voluto, ideato e compiuto la strage più spaventosa della nostra storia repubblicana, pensava, così che da quella stazione sventrata, da quelle immagini in bianco e nero, da quella ferita straziante, da questa piazza, potessero sorgere solo cadaveri, orrore e disperazione.
Invece no.
Come l’autobus 37, che da mezzo di trasporto per vivi diventò un mezzo per trasportare i morti, così le nostre vite avrebbero cambiato percorso, ma non si sarebbero fermate.
E così è stato.
L’anno scorso, per la prima volta il bus 37 è stato inserito nel corteo di commemorazione del 2 agosto. Come l’accertamento della completa verità su tutte le responsabilità di quell’eccidio, così il bus 37 è rimasto fermo ad aspettare che qualcuno lo potesse rimettere in moto e oggi è la prova tangibile che, anche dopo anni, se c’è la volontà, ogni cosa può rimettersi in moto e ripartire.
Dal 1981, anno in cui feriti e parenti delle vittime si sono uniti in associazione, non abbiamo mai smesso di perseguire Giustizia e Verità: non ci fermammo allora e non ci fermeremo. Per noi e per tutti.
Dopo anni di ostacoli e difficoltà di ogni tipo, la prima vittoria giudiziaria è arrivata con la condanna definitiva dei depistatori (i dirigenti del Sismi il generale Musumeci e il colonnello Belmonte, il faccendiere Pazienza e il gran maestro della loggia P2 Licio Gelli) e degli esecutori materiali (i terroristi fascisti Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini).
Questi sono solo alcuni dei nomi dei colpevoli. Il quadro non è ancora completo, soprattutto mancano i nomi dei mandanti e degli ispiratori politici e per questo, a 39 anni da quel terribile giorno, andiamo avanti e andremo avanti fino a quando la Giustizia non li avrà identificati e condannati.
Ciò sarà possibile grazie alla continua opera di raccolta di documenti processuali e di analisi sugli stessi da parte della nostra Associazione, dei nostri consulenti e dei nostri avvocati. L’anno scorso si è aperto il processo per concorso in strage contro Gilberto Cavallini, terrorista di spicco dei Nar e anello di congiunzione tra il neofascismo stragista romano e veneto.
Da questo nuovo processo iniziato nel 2018 stanno emergendo importantissimi elementi: ad esempio il fatto che nell’agenda di Cavallini siano stati trovati due numeri riconducibili ad utenze dei Servizi Segreti. Connivenze tra Nar e Servizi segreti continuano ad affiorare nel corso delle udienze, smontando definitivamente la tesi, tanto cara non solo alla difesa dell’imputato, del cosiddetto spontaneismo armato. E’ chiaro che ai terroristi neri isolati dal mondo dei Servizi segreti ormai nessuno crede più.
Una tesi che, anche di fronte all’evidenza del collegamento tra neofascismo e strutture dei Servizi segreti, utilizza ancora la difesa del terrorista e non stupisce.
Siamo rimasti invece davvero stupiti e amareggiati di fronte all’opposizione che su questi elementi così nuovi e significativi ha formulato la Procura della Repubblica di Bologna!
Una scelta che non capiamo!
Nelle udienze del processo che si sta svolgendo, si stanno ricollegando tutti i vecchi e nuovi fili neri fatti di depistaggi, logge massoniche eversive e Servizi Segreti che hanno agito per la riuscita dell’attentato del 2 agosto 1980.
Lo sta dimostrando anche un’altra importante indagine, che abbiamo atteso per 39 anni, quella sui mandanti, portata avanti dalla Procura Generale presso la Corte di Appello in cui l’ex generale dei Carabinieri, Quintino Spella, uomo del Sisde (Servizio segreto Civile) di Padova, è indagato per depistaggio. Un depistaggio compiuto non nel 1980, ma nel febbraio del 2019, praticamente ieri!
Tutto ciò conferma quanto i funzionari dei Servizi piduisti di allora siano ancora oggi attivi nel depistare. Nel corso di questa indagine, in un filmato amatoriale girato in stazione pochi minuti prima dello scoppio della bomba, si è trovata un’immagine che ritrarrebbe il neofascista di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini; se provata, questa presenza aprirebbe un mondo di conferme e ulteriori nuovi collegamenti su chi era presente a Bologna il 2 agosto 1980. Non solo coloro già condannati, quindi, ma presumibilmente anche un vasto apparato di uomini e mezzi che si mobilitò per compiere la strage: chi portò la bomba, chi controllò e chi eseguì l’attentato.
E nella stessa inchiesta si comincia a delineare come si siano svolti i fatti: dopo aver pianificato la strage alla stazione di Bologna, mesi prima fu messo in atto un depistaggio preventivo sempre ad opera dei Servizi Segreti italiani per costruire anticipatamente piste investigative false da presentare ai giudici subito dopo la strage. Il sostituto Procuratore della Repubblica Mario Amato che con le sue indagini aveva intuito cosa stava succedendo e quali erano le strategie seguite dalla destra eversiva, fu fatto uccidere dai terroristi neri dei Nar Cavallini e Ciavardini. I Servizi segreti italiani Sisde e Sismi, un mese prima, quando la notizia dell’ormai prossimo attentato trapelò, si attivarono per far sì che non fosse in alcun modo impedito, facendo poi uccidere, dopo il 2 agosto, dai loro sicari, tra cui Fioravanti e la Mambro, chi avrebbe potuto parlare, sconvolto dalla gravità dell’evento.
Dopo 39 anni di attesa, la Procura Generale di Bologna, sta lavorando, per arrivare finalmente ai mandanti.
Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
Un Paese civile e democratico
non può prescindere dalla
individuazione dei mandanti delle stragi
Da quello che è emerso finora, riteniamo che pezzi importanti delle istituzioni, neofascisti e uomini della mafia abbiano cospirato contro la Repubblica italiana e contro la Democrazia. Riteniamo che attorno alla strage di Bologna e alle stragi precedenti, i poteri paralleli ed eversivi che si annidavano nelle istituzioni della Repubblica abbiano stipulato patti di potere scellerati e violenti che sono proseguiti e che hanno avuto degli eredi.
Oggi, l’analisi delle più recenti sentenze relative alle stragi di Piazza Fontana, della questura di Milano e di Brescia ha permesso di scoprire il più ampio contesto in cui nacque e fu pianificata la pratica dello stragismo, originariamente analizzato in modo frammentato e disorganico. Un nuovo scenario particolarmente approfondito nella sentenza del 22 luglio 2015 sulla strage di Brescia, che illumina molte verità e che smentisce quella vecchia e limitata tesi secondo la quale dopo il 1974 è cessata la strategia golpista perseguita fino a quell’anno. In realtà, oggi sappiamo che nella seconda metà degli anni ’70 furono cambiate solo le modalità per la realizzazione dello stesso obiettivo, quello di un ribaltamento istituzionale.
La grande quantità di dati processuali acquisiti nel corso dei processi che ho citato, oggi disponibili in forma digitalizzata, ha fornito solo in anni recenti nuove chiavi di lettura per capire il disegno di destabilizzazione del sistema democratico italiano messo in atto a partire dal 1969. Si tratta di una ricostruzione complessa, perché sono state molteplici le componenti che hanno tramato contro la democrazia, dando ciascuna un proprio contributo al disegno eversivo, interconnesse in un sodalizio strategico e operativo.
La loro azione per alterare il sistema costituzionale, ha inciso, nel corso di un ventennio (dal 1964 al 1984), sulla funzionalità, sulla lealtà democratica e legalità di alcuni apparati dello Stato, con devianze che hanno generato stragi e depistaggi e che hanno protetto dalla Giustizia assassini e alle quali non sembra sia stato ancora posto rimedio attraverso una operazione di completa trasparenza.
Un impegno di ricostruzione della verità giudiziaria e storica su queste tematiche non può essere eluso, perché una ricostruzione dei fatti, quanto più possibile aderente alla realtà, costituisce l’unico deterrente efficace per evitare che tali fatti si ripetano.
L’introduzione del reato di depistaggio voluta e ottenuta dalla nostra associazione sta dando, come speravamo, risultati importantissimi e non solamente nel processo per la strage di Bologna.
Oltre al Generale Spella, anche il figlio di Sparti per le false e mendaci affermazioni fatte durante il processo è inquisito per tale reato.
Siamo fiduciosi sull’esito dell’indagine che è in corso sui mandanti.
Abbiamo compiuto e stiamo compiendo grandi passi in avanti verso quella verità completa, giudiziaria e storica, a cui abbiamo dedicato, da quel 2 agosto 1980, la nostra vita. Di fronte a questi risultati importanti, periodicamente qualcuno ripropone la depistante pista palestinese, quella che fu usata dall’allora Sismi, subito dopo la strage, per proteggere gli stragisti neofascisti. Negli anni, cambiano le diverse sfumature ma il tentativo è lo stesso: confondere sul piano mediatico l’opinione pubblica.
Ciò è accaduto anche recentemente quando dopo il deposito della perizia esplosivistica, si è riparlato di pista palestinese, quando le conclusioni della perizia sono tutt’altre: l’esplosivo – scopriamo – era di provenienza militare e veniva fornito ai NAR dagli elementi veneti dei neonazisti di Ordine Nuovo. Organizzazione già responsabile di stragi e attentati negli anni precedenti. Ma la pista palestinese viene buttata lì, come strategia del depistaggio mediatico!!!
Ma oggi siamo di fronte ad una nuova stagione nella ricerca della verità, data anche dalla decisione della Direzione Nazionale Antimafia di istituire un pool che indaghi sulle realtà esterne alle stragi, di mafia, di terrorismo e agli omicidi politici come quello del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella.
Un segno, questo, di un grande cambiamento di passo e di una nuova sensibilità che la Magistratura che si trova in prima linea sta dimostrando.
E tutto ciò conferma quello di cui da sempre siamo convinti e per cui ci siamo trovati tutti insieme ogni anno in questa piazza per 39 anni: arrivare ai mandanti è possibile! Basta volerlo, occorre che ci sia la volontà di farlo. E questa volontà adesso c’è.
Ma l’azione della nostra Associazione non si limita al versante giudiziario. Portiamo avanti il nostro impegno riguardo l’attuazione della legge 206/2004 (Nuove norme a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice), su cui il Governo si è impegnato. Ci auguriamo che si possa definire tutta la parte normativa con la prossima legge di stabilità.
Per quello che concerne la digitalizzazione, dopo gli incontri con il Presidente della Camera Roberto Fico e col Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si stanno compiendo importanti passi avanti: si sta avviando la digitalizzazione a Milano e a Firenze, con accordi con i Tribunali delle due città, mentre a Roma è stato aperto un laboratorio a Rebibbia per digitalizzare gli atti del processo Moro: stiamo lavorando col Ministro della Giustizia e quello dei Beni Culturali affinché la digitalizzazione di tutti i processi riguardanti l’eversione, proceda metodicamente. Tutto ciò col contributo finanziario di Cassa Ammende e del CSM.
Il tribunale di Bologna con il contributo finanziario della Regione Emilia Romagna e la costante opera dei volontari dell’Auser ha praticamente terminato la digitalizzazione dei processi per reati di terrorismo e ora i giudici, gli storici, i ricercatori e tutti i cittadini hanno a disposizione un grande archivio dedicato per conoscere e approfondire e soprattutto leggere, finalmente, tutte insieme le carte. I giudici Falcone e Borsellino furono tra i primi a porre la questione della digitalizzazione: credevano che leggere insieme i processi alle mafie, quelli per reati economici, eversione e criminalità di qualsiasi matrice avrebbe inferto un duro colpo alle mafie, arrivando perfino a distruggerle. Avevano ragione e furono entrambi uccisi.
Anche sulla direttiva della Presidenza del Consiglio dell’aprile del 2014, che prevedeva il versamento anticipato agli archivi dello stato e la declassifica di tutti i documenti relativi alle stragi avvenute dal 1969 al 1984, si stanno facendo passi avanti per dare risposte concrete anche in relazione all’estensione dei versamenti così da ampliare la ricerca storiografica e favorire la verità. L’attività dell’Associazione sul fronte della conservazione e della divulgazione della conoscenza storica prosegue in modo metodico: l’anno scorso più di 3600 ragazzi delle scuole sono stati coinvolti. Quest’anno supereremo i 4000. In questa opera abbiamo il costante appoggio dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna.
Crediamo, infatti, che Giustizia e Verità, senza cura della memoria, sarebbero sterili poiché solo dalla consapevolezza può germogliare il seme di un profondo cambiamento e di una coscienza civile che si rinnova.
Quando andiamo nelle scuole, capita spesso che ragazzi desiderosi di sapere e capire ci chiedano come abbiamo fatto, come parenti delle vittime e come Associazione, ad andare avanti in tutti questi anni.
Allora ci viene in mente Agide Melloni, l’autista del bus 37 che quel 2 agosto trasformò il suo mezzo in un pietoso obitorio su ruote, per lasciare le ambulanze ai feriti e che quel giorno, proseguì il suo turno di lavoro fino a tarda notte. Intervistato sul suo straordinario e eroico comportamento, rispose: “In quel momento, il meglio che potevo fare era guidare un autobus. E l’ho fatto. Sono andato avanti e non mi sono fermato”
Nella sua pragmatica semplicità, la frase di Agide esprime in estrema sintesi anche lo spirito che ci ha guidato in tutti questi anni da quel 2 agosto 1980, il meglio che potevamo fare per onorare i nostri morti era perseguire Giustizia e Verità.
E, con voi sempre al nostro fianco, è quello che abbiamo fatto, è quello che facciamo, è quello che continueremo a fare.
Grazie”.