“Il 2 agosto 1980, alle 10.25, in questa stazione, esplose un micidiale ordigno che uccise 85 persone e ne ferì 200.
La più sanguinosa strage dell’Italia post bellica.
Da quel giorno le nostre vite sono cambiate per sempre e così anche la storia di questo Paese, già martoriato dallo stragismo fascista delle bombe di Piazza Fontana (1969), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Piazza della Loggia (1974) e Treno Italicus (1974).
Anche per la strage di Bologna, come per questi eccidi, i mandanti del terrore, che avevano voluto e ideato quel tragico copione, avevano attivato depistatori e depistaggi per arrivare allo stesso finale giudiziario: nessun colpevole.
Un’operazione fallita grazie alla professionalità dei magistrati e inquirenti che non si sono fatti intimidire dagli indicibili legami del potere. La parte democraticamente sana dello Stato, la determinazione dei familiari delle vittime e l’ostinata vigilanza civile dei cittadini hanno permesso di squarciare il velo di omertà e di oblio che si voleva far cadere su questi fatti atroci e di rivelare le responsabilità di chi ha attuato la strategia stragista e ne voleva nascondere i retroscena.
Oggi sappiamo che si trattò di una strategia unitaria contro la democrazia.
A Bologna furono identificati gli esecutori materiali della strage: i terroristi fascisti Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini e coloro che depistarono le indagini: il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte, appartenenti al SISMI ed iscritti alla Loggia massonica P2, il Gran Maestro della P2 Licio Gelli e il faccendiere Francesco Pazienza.
A parte Licio Gelli ed i militari ormai deceduti, gli stragisti Mambro e Fioravanti, nonostante i numerosi ergastoli comminati a ciascuno, sono in libertà da anni, premiati, in una logica ricattatoria, per il loro silenzio.
Arrivare a questi importanti pezzi di verità non è stato facile, né è stato semplice, in questi anni, difendere quanto faticosamente appurato. Alla strategia stragista si è aggiunta quella della disinformazione e della manipolazione. L’Associazione dei familiari delle vittime è stata oggetto di tentativi di delegittimazione continui, di ostacoli burocratici e attacchi, più o meno diretti, per farla desistere dalla battaglia finalizzata ad ottenere una giustizia completa e una verità piena.
Ma, forti anche del sostegno della città di Bologna e della vicinanza morale e materiale di tanti cittadini, non ci siamo fatti intimidire, non ci siamo arresi e i risultati, anche a distanza di anni, continuano ad arrivare.
Nel marzo di quest’anno si è aperto il processo per concorso in strage, a carico di Gilberto Cavallini, terrorista fascista dei NAR, condannato all’ergastolo per numerosi omicidi, tra i quali, quello del magistrato Mario Amato e, ciò nonostante, anch’egli, da anni, in semilibertà.
Cavallini è un importante elemento di collegamento tra la destra eversiva veneta e romana e siamo convinti che il nuovo dibattimento possa aprire uno squarcio di ulteriore verità e permetta anche di risalire più in alto nelle responsabilità.
L’imputazione, formulata a carico di Cavallini, è il frutto di un impegno pluriennale e dei riscontri trovati dai consulenti dell’Associazione in tanti altri processi già conclusi e digitalizzati, messi a disposizione dei magistrati di Bologna, sotto forma di plurime memorie scritte.
E non è l’unica notizia positiva che registriamo quest’anno.
Sette anni fa, l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 presentò alla Procura di Bologna un esposto con il quale chiedeva, attraverso una dettagliata analisi, la riapertura delle indagini sui mandanti della strage.
Nonostante la mole dei documenti e dei riscontri che avevamo presentato, la Procura ordinaria aveva ritenuto che non ci fossero elementi per sostenere un processo e ne aveva chiesto l’archiviazione. Una richiesta alla quale ci siamo opposti ,rilevando le carenze investigative.
Nell’autunno scorso, però, la Procura Generale ha avocato a sé il caso evitando così l’archiviazione delle indagini sui mandanti.
Anche secondo la Procura Generale, quindi, esistono elementi investigativi importanti che debbono essere approfonditi.
L’elemento più significativo, che ha infatti convinto la Procura Generale ad avocare a sé il fascicolo sui mandanti ed a continuare le indagini, riguarda alcuni conti correnti. Fra questi l’ormai famigerato conto corrente segreto legato a Licio Gelli e ad Umberto Ortolani, emerso anni fa e mai approfondito a dovere, che evidenziava movimenti per 14 milioni di dollari a destinatari con nomi coperti da pseudonimi. Su uno specchietto riassuntivo trovato addosso a Gelli, alcuni pagamenti erano stati annotati sotto la voce “Conto Bologna”.
“Follow the money” diceva Giovanni Falcone. “Segui i soldi” La lezione del grande magistrato antimafia potrebbe portare a far luce su un segreto che dura da 38 anni e cioè su chi siano i mandanti dei terroristi condannati in via definitiva per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e su chi siano i personaggi che dall’interno delle istituzioni democratiche cercarono di sabotare la democrazia in Italia, creando meccanismi di ricatto permanente che continuarono e continuano a produrre resistenze alla nostra richiesta di verità e giustizia.
La Magistratura bolognese oggi vuole andare più a fondo, anche perché, nel frattempo, la corte di Cassazione ha pronunciato la sentenza sulla strage di Brescia che ha condannato, in via definitiva all’ergastolo, il leader veneziano del gruppo neonazista Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi e il collaboratore dei servizi segreti militari anch’egli di Ordine Nuovo, Maurizio Tramonte.
Con quella sentenza, si stabilisce ciò che noi abbiamo sostenuto per anni e cioè che la strategia della tensione non è composta da singoli episodi scollegati tra di loro, ma è il frutto di un lavoro di coordinamento che prosegue almeno fino al 1980 ed evidenzia anche sconcertanti 2
collegamenti con ambienti mafioso-eversivi, in cui convergono interessi antidemocratici e di gestione parallela e occulta del potere. Ora anche questo giudicato sarà importantissimo per la nostra ricerca della verità.
Questi risultati straordinari sono il frutto del lavoro degli inquirenti, della tenacia dell’Associazione dei familiari delle vittime e di tanti cittadini. La speranza nasce da qui. Da questo osare che, in questo Paese, significa chiedere che ognuno faccia fino in fondo il proprio dovere. Anche dopo anni di fatiche, amarezze, battaglie.
Quando noi familiari delle vittime del 2 agosto 1980 ci siamo costituiti in Associazione, nel 1981, pur piegati dal dolore per i lutti subiti, lo abbiamo fatto per coltivare insieme un obiettivo: l’obiettivo di ottenere Giustizia e Verità.
La rabbia per l’ingiustizia che avevamo subito, avrebbe potuto trasformarsi in una reazione irrazionale, invece, insieme, abbiamo voluto incanalarla nella giusta direzione e trasformarla in un fuoco sapiente, lento ma inesorabile: il fuoco di un impegno concreto che non ci stanchiamo di alimentare in modo costante. Ogni anno, con un’attività culturale costante e capillare nelle scuole, la nostra Associazione si dedica alla diffusione e al mantenimento della memoria nelle giovani generazioni. Numerose iniziative che portiamo avanti insieme ad altre associazioni di familiari.
In particolare, quest’anno, insieme all’Associazione di piazza della Loggia, di Ustica, e alla Rete degli archivi per non dimenticare, abbiamo redatto un documento contenente 10 proposte operative rivolte a questo Governo, al fine di dare concreta attuazione alla Direttiva Renzi del 2014 sulla declassifica della documentazione sulle stragi avvenute dal 1969 al 1984, per rendere davvero pubblici e trasparenti quegli atti, utili alla ricostruzione dei gravissimi eventi che hanno segnato la storia del nostro Paese.
Una direttiva, fino ad oggi applicata in modo superficiale, disattendendo le richieste dei familiari delle vittime che agli incontri con la Presidenza del Consiglio dello scorso Governo hanno dimostrato di essere gli unici a volerla realizzare in modo corretto e puntuale. Nemmeno la Presidenza del Consiglio che l’ha emanata ha dimostrato di volerla realizzare.
Così com’è rimasto lettera morta il protocollo d’intesa firmato nel 2015 dal Ministero dei Beni Culturali e dal Ministero della Giustizia, con cui, gli allora Ministri Franceschini e Orlando, si impegnavano a digitalizzare gli atti giudiziari relativi ai processi su terrorismo e stragi.
La linea guida degli ultimi Governi su questi temi, è sempre stata la stessa: promettere il massimo negli anniversari e poi in gran parte non attuarlo.
Tutto ciò non è coerente con i principi di una democrazia avanzata.
Una classe dirigente seria ha il dovere di mantenere le promesse fatte e assumersi la responsabilità di fare finalmente chiarezza sui fatti oscuri che hanno insanguinato la storia recente del nostro Paese. Dimostrare, nei fatti, di avere paura della verità su stragi e terrorismo è proprio di una classe dirigente non all’altezza di governare il nostro Paese.
Attendiamo un segnale concreto di cambiamento che da oggi in poi, dimostri, nei fatti, che c’è una classe dirigente che non ha paura della verità su stragi e terrorismo e che rispetta chi sta ancora pagando il prezzo troppo alto di quella grave omissione.
Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
Mafia e terrorismo
una trattativa e tanti depistaggi
Mai più trattative sulla verità
A Palermo si è chiuso, in primo grado, il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia con la condanna di alti esponenti dello Stato che trattarono con i boss di Cosa nostra. Ma quante trattative tra Stato-mafia e terrorismo ci sono state dal dopoguerra ad oggi? Quanti patti occulti ci hanno nascosto per falsificare la storia?
Dal caso Moro, al sequestro Cirillo, dall’uccisione del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella all’assassinio con metodo stragista dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, al ricordo dell’omicidio dello scrittore Pier Paolo Pasolini, citiamo solo alcune delle vicende criminali comprese in un lungo e tragico elenco di fatti in cui le collusioni e i depistaggi compiuti da alti rappresentanti dello Stato hanno impedito di arrivare alla verità. Deviazioni e depistaggi attraversano trasversalmente la storia giudiziaria di vicende apparentemente non legate tra loro:è possibile che, in tutti questi anni di inchieste, per nessuna strage, non si sia arrivati a colpire i mandanti e gli ispiratori politici? Mai oltre gli esecutori materiali! Oggi col reato di depistaggio in vigore dal 2 agosto 2016, da me proposto nel 2013 e approvato dopo molte resistenze, possiamo perseguire quei depistatori che hanno agito e agiscono per tutelare quegli indicibili patti, stretti alle spalle dei cittadini.
Mai più verità di comodo. La dignità di una democrazia si mostra nella memoria e nella tenacia della ricerca della verità.
Dobbiamo essere in grado di guardare indietro e di affrontare il nostro passato nei suoi punti più oscuri dove si trovano morti e impunità. Ciò va fatto per restituire al nostro presente e al nostro futuro una democrazia finalmente pulita, trasparente e giusta. Solo con questo approccio alla realtà possiamo essere cittadini consapevoli, solo così possiamo dirci davvero un paese democratico.
Questo è ciò che vogliamo.
Le offese, che le istituzioni ci riservano, non riusciranno mai a spegnere il fuoco del nostro impegno e della nostra determinazione, della nostra denuncia dell’ambiguità e dell’opportunismo di alcuni settori della classe politica
A tal proposito ci sentiamo qui di citare due episodi emblematici
La scorsa primavera a Roma, a Primavalle, sono stati ufficialmente ricordati i 45 anni dall’uccisione dei fratelli Stefano e Virgilio Mattei, morti nel rogo della loro abitazione, per mano di tre estremisti di sinistra. Alla commemorazione, l’ex sindaco Gianni Alemanno, si è presentato accompagnato dal terrorista fascista Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva quale esecutore della strage di Bologna.
Alla vista di costoro, Giampaolo Mattei, fratello delle 2 vittime, si è dissociato dalla cerimonia e si è detto offeso per quanto accaduto e per aver visto che Roma capitale e la Regione Lazio hanno deposto la corona non con l’Associazione Fratelli Mattei, ma con questi personaggi, tra cui uno stragista. 4
A 40 anni dall’uccisione di Aldo Moro, la brigatista Barbara Balzerani, che ha partecipato al sequestro e all’omicidio dello statista senza mai pentirsi, ha dichiarato, sprezzante, che la figura della vittima è diventata un mestiere.
La tracotanza di simili squallidi personaggi che, loro sì, hanno fatto del loro curriculum sanguinario una professione, non ci stupisce, ma amareggia la visibilità mediatica che a costoro troppo spesso viene concessa.
A questi criminali rispondiamo con le parole di Luca Moro, nipote dello statista,:“Noi non abbiamo scelto di essere vittime e non ne abbiamo fatto un mestiere. Voi avete scelto di fare i terroristi e di piombare nelle nostre vite distruggendole, cosa di cui avremmo fatto volentieri a meno”.
Perseguire Giustizia e Verità e battersi quotidianamente per tenere viva la memoria non è un mestiere, ma un impegno civile, faticoso ed estremamente impegnativo, che Associazioni di familiari delle vittime, come la nostra, svolgono con passione, nella convinzione che sia un dovere morale: l’unico modo per onorare davvero i nostri morti, per mostrare gratitudine a tutti i cittadini onesti che continuano a sostenerci e per evitare che altri, in questo Paese, debbano sopportare i lutti che abbiamo dovuto patire noi.
In una delle sue ultime interviste, Maria Cervi, figlia di uno dei sette fratelli Cervi trucidati dai nazifascisti nel 1943, disse: “Nessuna conquista è per sempre. C’è sempre qualcuno che è interessato a toglierla, per cui, resistere non è solo un dovere, ma una necessità. Altrimenti non si va avanti”.
E a voi, che, come noi, ogni giorno resistete e ci date appoggio, va la nostra più profonda riconoscenza.
Grazie!”
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