Bologna

2 agosto 2017, l’intervento del presidente dell’Associazione famigliari delle vittime, Paolo Bolognesi, nel 37° anniversario della strage alla stazione

BOLOGNA – Di seguito il testo della comunicazione letta ieri mattina in Piazza Medaglie d’Oro dal presidente Paolo Bolognesi a nome dell’Associazione famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

“2 agosto 1980, 37 anni fa.

Chi allora c’era, non può dimenticare quello che, ancora oggi, rimane il più sanguinoso attentato terroristico del dopoguerra in Italia.

Chi allora ha visto con i suoi occhi lo scempio di una bomba fatta esplodere nella stazione di Bologna il primo sabato di agosto, non potrà più cancellare quelle immagini. 85 morti e 200 feriti: chi fra quei cittadini inermi, aveva un amico, un familiare, un affetto, da quel giorno ha avuto sconvolta la propria esistenza per sempre; così come chi ha subito sul proprio corpo le conseguenze di quel micidiale ordigno.

Pur colpita al cuore, Bologna ha saputo reagire: le prime ambulanze sono arrivate in stazione già 5 minuti dopo lo scoppio; i soccorsi negli ospedali e al centro operativo del Comune sono stati immediatamente organizzati: la cittadinanza tutta, ognuno per quel che poteva, si è messa a disposizione per aiutare, dare una mano ai soccorritori, essere utile.
Anche se sotto shock per il lutto, Bologna ha fatto appello alle sue risorse e ha dimostrato che resistere era possibile, era doveroso, era necessario. È stata una resistenza agli attacchi alla democrazia: perché Bologna era stata scelta come obiettivo per contrastare l’affermazione di una collaborazione politica tra forze progressiste elaborata da Moro e Berlinguer.

Quella lezione di resistenza civile, ancora oggi ci commuove, risveglia un sentimento che si rinnova ogni anno con la grande partecipazione di cittadini alla manifestazione per ricordare le vittime.

Nel 1981 abbiamo costituito l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna: abbiamo saputo trasformare il dolore e la rabbia per il lutto e le ingiustizie subite in qualcosa di costruttivo, che servisse a noi e a tutti i cittadini onesti per ottenere giustizia e verità.

In un Paese normale, che voglia definirsi democratico, il percorso di giustizia e verità intrapreso dalla nostra Associazione avrebbe dovuto essere costantemente sostenuto e agevolato dalle Istituzioni e dallo Stato. Invece, troppo spesso, ciò che avrebbe dovuto costituire una risorsa si è rivelato un ostacolo, a volte persino un nemico da contrastare.
Uomini dello Stato, il generale Musumeci e il colonnello Belmonte, sono stati condannati in quanto attivi depistatori delle indagini sulla strage del 2 agosto 1980.

Molti alti generali, ministri e giudici erano iscritti alla Loggia Massonica P2 il cui gran maestro Licio Gelli è stato condannato per depistaggio.

Chiediamo si indaghi ancora sulla Loggia P2, per verificare se da quel centro di potere occulto è stato impartito il mandato stragista.

Durante questi 37 anni, non si contano le volte in cui ci è stata fatta concretamente percepire l’ostilità di uno Stato che, attentissimo ad esaudire i desideri dei carnefici, si è mostrato, invece, sordo ai bisogni delle vittime e sostanzialmente disinteressato alla necessità di arrivare alla completa verità.

I principali esecutori materiali dell’attentato del 2 agosto, i fascisti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, nonostante i numerosi ergastoli e i 98 omicidi a loro carico, sono liberi da anni perché, incredibilmente, per lo Stato italiano, hanno già scontato la loro pena.

Noi familiari delle vittime, invece, dallo stesso Stato che libera gli stragisti, aspettiamo ancora la piena attuazione di una legge del 2004, la 206, che i funzionari dell’Inps e dei ministeri, in questo decennio, si sono impegnati a non applicare, contestandola o addirittura negando la sua specialità, costringendoci così ad intraprendere estenuanti e costosi ricorsi giudiziari-amministrativi.

Un sistema illegittimo, che ha agito nel totale silenzio della politica, in cui le vittime diventano ‘imputati’, rei di rivendicare un diritto sancito da una legge speciale che ha voluto risarcire loro di una vita spezzata dalla violenza stragista con la morte o con invalidità permanenti che hanno stravolto il corso di famiglie ed esistenze.

La stessa resistenza dimostrata dalle amministrazioni dello Stato che non ottemperano alla Direttiva Renzi costringendoci a una estenuante vigilanza: è con la strategia della censura della Memoria che si garantisce l’impunità.

A tre anni dalla sua emanazione, infatti, e nonostante le nostre ripetute richieste di controllo e uniformità dei versamenti degli atti, alcuni Ministeri sono gravemente in ritardo riguardo all’individuazione delle carte: non possiamo accettare che la cattiva tenuta degli archivi ne favorisca colpevolmente la scomparsa impedendo, a tutti i cittadini di conoscere la genesi degli eccidi che hanno insanguinato la storia del nostro Paese.

Nel maggio 2015, il Ministero dei Beni Culturali e il Ministero della Giustizia hanno firmato un protocollo d’intesa con la Rete degli Archivi per non dimenticare: si impegnavano a realizzare la digitalizzazione degli atti giudiziari cartacei relativi a processi conclusi su terrorismo e stragi che rischiano di essere distrutti dall’usura del tempo. Un patrimonio storico-giudiziario di grande valore per la storia del nostro Paese, ignorato dai citati Ministeri, perché ad oggi neanche un solo foglio è stato digitalizzato.

Anche il portale della Rete degli Archivi per non dimenticare, che fu inaugurato dal Presidente della Repubblica il 9 maggio 2011 e che rappresenta il solo e unico esempio di memoriale pubblico su una lunga stagione di violenza che ha minato la democrazia del nostro Paese, rischia di chiudere per mancanza di fondi. Un fatto inconcepibile.

Date le promesse disattese dal Governo, nei confronti dei familiari delle vittime, abbiamo minacciato, se lo stato delle cose non fosse cambiato, di disertare la cerimonia del 9 maggio, Giornata della memoria delle vittime del terrorismo.

Con questo gesto, abbiamo voluto richiamare alle proprie responsabilità di trasparenza e di impegno il Governo, perché il rispetto delle istituzioni nei confronti delle vittime di terrorismo e stragi si deve dimostrare concretamente non solo una volta l’anno, con l’organizzazione di una commemorazione, ma realizzando tutte le promesse fatte ed adempiendo comunque al dovere di fare sino in fondo chiarezza, perché questa non è la storia delle vittime, ma la storia di tutto il Paese.

Dopo una serie d’ incontri che hanno visto assumere precisi impegni nel dare risposte alle richieste fatte dalle associazioni, abbiamo ancora una volta riposto fiducia nelle Istituzioni e siamo stati presenti alla cerimonia del 9 maggio.

Siamo stati traditi da chi doveva stare al nostro fianco!

Gli impegni presi non sono stati mantenuti. Coloro che ricoprono incarichi di Governo non sono stati all’altezza del loro ruolo.

Siamo stanchi dell’immobilismo e delle mancate risposte, e siamo anche stanchi dell’ambiguità che mostrano troppo spesso gli uomini che sono stati chiamati a presiedere le istituzioni: nel gennaio di quest’anno, il Presidente del Senato e il Ministro della Giustizia hanno partecipato alla presentazione di un libro che prevedeva la partecipazione di due terroristi come Adriana Faranda e Franco Bonisoli, mettendo anche a disposizione una sede del Senato. Solo dopo le nostre proteste, la loro presenza è stata annullata, sostituiti da due terroristi meno noti, Andrea Coi e Grazia Grena, credendo, forse, che il problema fosse il semplice cambio di nomi, mentre è rimasta un’iniziativa che abbiamo definito, e lo ribadiamo, un’offesa nei confronti dei familiari delle vittime e di tutti gli italiani che rispettano lo Stato.

E’ stato uno degli incontri, promossi dai fautori della tesi della cosiddetta giustizia riparativa che vede, in alcuni convegni, la presenza del ministro della Giustizia e che non è altro che un escamotage per chiudere gli anni di piombo senza aver ottenuto la verità.

Sostenere ed incontrare dei terroristi della colonna romana delle BR che fino ad oggi hanno mentito, e continuano a mentire, sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro e che continuano ad omettere, sotto la copertura della giustizia riparativa, fatti molto gravi che in Commissione Moro, stiamo appurando, significa che non siamo di fronte ad un reale intento riparatorio delle conseguenze che la loro violenza terroristica ha causato, ma alla volontà di ottenere nuove e utili coperture per chiudere la vera storia degli anni di piombo, comprese quelle pagine ancora poco chiare, sull’effettivo ruolo svolto dai Servizi Segreti.
Se i terroristi vogliono veramente “riparare” inizino a raccontare la verità sulle stragi e sugli altri fatti di terrorismo in cui sono stati coinvolti; inizino a raccontare come è stato intessuto il doppio filo tra loro e informatori o funzionari dei Servizi Segreti che – tra il 1969 e il 1993 – invece di prevenire fatti di sangue gravissimi, li avallarono, conoscendone preventivamente la preparazione.

Tutto ciò lo dovrebbero fare anche i funzionari dello Stato implicati, a vario titolo, nel coprire le responsabilità di esecutori e mandanti e nel depistare le indagini.

Nel Paese delle stragi ‘appaltate’ a terzi e rimaste in gran parte impunite, compito dello Stato e della magistratura è quello di impegnarsi per arrivare alla verità. Invece, nel marzo di quest’anno, il ministro della Giustizia e il Ministro dei Beni culturali hanno dichiarato che l’archivio digitale delle carte dei processi per strage e terrorismo “non può essere in nessun modo utilizzato come uno strumento analogo a una banca dati investigativa o di matrice giudiziaria”.

Diceva Gramsci che il gesto rivoluzionario per eccellenza è chiamare le cose col loro nome, e allora noi vogliamo chiamare queste cose col proprio nome: due ministri che affermano che le carte processuali digitalizzate non sono utili per le indagini lanciano un messaggio ben chiaro, volto a rassicurare e tranquillizzare qualcuno, sicuramente non i familiari delle vittime che conoscono la grande possibilità di trovare quei tasselli mancanti alla completa verità attraverso la lettura complessiva e l’analisi incrociata delle indagini su fatti di criminalità politica del nostro Paese. Se qualche esponente istituzionale, contravvenendo ai suoi doveri, vuole ostacolare la ricerca di giustizia e verità, attraverso la strategia della censura della Memoria, sappia che non ci scoraggerà e non ci fermerà, come i risultati raggiunti fino ad oggi dimostrano, dopo 37 anni di impegno civile.

Anche perché siamo convinti che la Memoria non sia un bene privato delle nostre Associazioni, ma un patrimonio collettivo che istituzioni e Governo dovrebbero impegnarsi a conservare, trovando i fondi necessari per digitalizzare i documenti giudiziari ed impedirne l’usura, e quindi la scomparsa, al preciso scopo di rendere consultabili i dati storici che possano consentire di far emergere la verità. Un impegno che però, ad oggi, non abbiamo visto, dato che solo i familiari si sono assunti anche questo onere.

Per Bologna questo sarà un anno giudiziariamente importante. E’ infatti dell’aprile scorso la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in strage del terrorista nero Gilberto Cavallini da Parte della Procura della Repubblica ed è sempre dell’aprile scorso anche la scelta di chiedere l’archiviazione del filone d’indagine sui mandanti. Richiesta, a cui l’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto si è opposta, indicando rilevanti fonti di prova e documenti utili a sviluppare nuove indagini sui mandanti e su persone ad oggi viventi e all’epoca operanti nel contesto eversivo veneto di Ordine Nuovo e dei Servizi Segreti militari. Arrivare alla verità è un processo complesso, ma non impossibile. Basta volerlo.

Come dimostra la recente sentenza della Cassazione che, finalmente, dopo 43 anni di omertà e depistaggi, ha confermato gli ergastoli all’ex ordinovista veneto Carlo Maria Maggi e all’allora informatore dei Servizi Segreti Maurizio Tramonte quali responsabili della strage di Piazza della Loggia che non è più un eccidio impunito. Un verdetto importante perché prova definitivamente, a livello giudiziario, che le stragi compiute dal 1969 al 1980 facevano parte di un disegno eversivo di sovvertimento dello Stato, attuato da neofascisti e Servizi Segreti.

Anche alla luce di questa sentenza si conferma, quindi, l’infondatezza della richiesta di archiviazione sui mandanti della strage del 2 agosto 1980. La Procura di Bologna ha liquidato i NAR degli stragisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini come dei neofascisti spontaneisti, non controllati da P2 e Servizi Segreti. La sentenza definitiva di condanna di Gelli, Pazienza e degli allora vertici del Sismi, invece, dimostra la protezione loro accordata depistando le indagini.

Contro la richiesta di archiviazione sui mandanti, abbiamo presentato un atto formale di opposizione, dove motiviamo, punto per punto, l’infondatezza del provvedimento che si riduce ad una rilettura di sentenze vecchie di trent’anni – che conosciamo anche noi – senza aver intrapreso alcun significativo sforzo investigativo. In sede giudiziaria, avremo il corretto contraddittorio sulle prove e indicheremo alla magistratura bolognese importantissimi ambiti di indagine da sviluppare.

Colpisce, tuttavia, che gli investigatori non abbiano preso in esame il depistaggio preventivo costruito dai Servizi Segreti, nel marzo 1980, su Marco Affatigato. Colpisce che non abbiano interrogato personaggi come Mario Ortolani, figlio di Umberto, dal cui conto uruguaiano di Montevideo provenivano una parte dei soldi rendicontati nel ‘documento Bologna’ sequestrato a Licio Gelli al momento del suo arresto, ovvero i 14 milioni di dollari versati prima e dopo la strage a strutture paramilitari e che si siano limitati a rileggere una vecchia relazione della Guardia di Finanza del 1987, senza indagare sui nuovi elementi che, dal 1987 ad oggi, abbiamo trovato e depositato.

Non sono stati sviluppati tutti i numerosi altri spunti che riguardano ad esempio il rinvenimento nel 1982 a Torino, in un covo dei Nar, di pezzi di targa contenenti proprio i numeri residuati dal montaggio dei pezzi di due diverse targhe, rubate e montate insieme per formare quella falsa, utilizzata per l’autovettura dei killer di Piersanti Mattarella, colui che coltivava l’ambizione di riprendere il discorso politico intrapreso da Moro e Berlinguer.
Non si può chiedere di archiviare – sulla base di vecchi esiti giudiziari – l’indagine sui mandanti della più grave strage del dopoguerra e, soprattutto, del più grave tentativo di rovesciare l’impianto costituzionale, come lo stesso Gelli ha finito per ammettere in alcune recenti interviste, senza scomodarsi ad indagare sui nuovi elementi, emersi dopo quelle sentenze di trent’anni fa, che abbiamo dettagliato in più memorie depositate in Procura, e che evidentemente o non hanno letto, o non hanno compreso.

Quale garanzia ci può dare una classe dirigente che tenta ancora di nascondere questi importanti pezzi di storia repubblicana sopravvissuti alle inchieste sulla P2 ? Persino Licio Gelli si è preso la libertà di dichiarare – in una delle sue ultime interviste – che qualcuno aveva tradito la presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla P2, Tina Anselmi, ed ha rivendicato che a quel piano eversivo avevano collaborato le organizzazioni segrete Anello e Gladio

Non si può più ignorare la rilevanza dei nuovi elementi emersi e il verdetto di condanna per la strage di Brescia.

I familiari delle vittime non si accontentano delle sentenze sugli esecutori: perché oggi sanno che ai mandanti si può e si deve arrivare anche per liberare il nostro Paese da logiche inaccettabili fondate su ricatti e patti stretti in quella stagione e che condizionano tutt’oggi la vita democratica.

La nostra associazione i segnali d’apparato li ha già conosciuti e sa riconoscerli bene. La nostra associazione non ha mai desistito dall’agire e intende rispondere con la determinazione di sempre. Il nostro linguaggio, come sempre, è chiaro: i familiari delle vittime non rimarranno nell’anticamera della verità sugli anni delle stragi.

La parte ‘sana’ del Paese ci ha sempre sostenuto e noi ci sentiamo accompagnati dall’esempio civile di magistrati come Mario Amato, Emilio Alessandrini, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Vittorio Occorsio, ed altri, che con il loro sacrificio hanno rafforzato la vera essenza della democrazia.

Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
LA STORIA NON SI ARCHIVIA
LA FORZA DELLA VERITA’ NON SI PUO’ FERMARE
LA GIUSTIZIA FACCIA LA SUA PARTE

Crediamo che non temere la propria Storia renda un Paese libero: il nostro ancora non lo è.

Noi continueremo ad impegnarci per liberarlo dall’occultamento del proprio passato, di cui è vittima, perché la vera storia eversiva del nostro Paese non sia archiviata, censurata o chiusa nei cassetti segreti degli apparati perché è un patrimonio collettivo che istituzioni e Governo devono impegnarsi a tutelare e condividere, senza temere, come invece sembra, di spalancare la porta della conoscenza – e coscienza di Stato – su cause, disegni, implicazioni, responsabilità di eccidi che hanno falciato la vita di centinaia di persone. Perché la verità non si ferma – come ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai familiari delle 30.000 vittime delle dittature di Argentina, Cile e Uruguay- né davanti al tempo né di fronte all’arroganza del potere ne dinanzi all’inerzia della giustizia. Quella giustizia che finge di ignorare la verità per incapacità o comodità politica.

E se, dopo 37 anni di battaglie contro depistaggi e apparati per arrivare alla verità sui mandanti, qualcuno crede di scoraggiarci, tentando di seppellire la vera storia della cupola eversiva stragista, che abbiamo compreso e stiamo comprendendo, può darsi pace: perché non ci arrenderemo!

La nostra storia lo dimostra: nel nostro lungo percorso ci sono stati molti momenti duri, perché la ricerca della verità in questo Paese è stata, ed è, una battaglia difficile, che non si può fermare.

E questa battaglia è stata possibile grazie al sostegno e al contributo di ogni cittadino che crede che essere qui oggi sia un valore da conservare. Molti avrebbero voluto e vorrebbero questa piazza vuota, ma la vostra presenza così numerosa testimonia che la società civile non intende chiudere la ricerca della verità sulla strage di Bologna e sul periodo che ha visto il terrorismo e lo stragismo come forma di lotta politica.

Sostenuti dalla forza della verità che questa piazza rappresenta, a tutela presente e futura, della Democrazia, continueremo la nostra ricerca della verità.

Grazie di essere qui.
Grazie di essere al nostro fianco!”

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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